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Arriva il Regno di Sion? Ricordiamoci l’altro

“I lavoratori devono schiacciare i kulak con pugno di ferro”, ordinava Lenin in un dispaccio dell’agosto 1918: “Impiccare, e dico impiccare in modo che la gente lo veda, non meno di cento kulak, ricconi, sanguisughe conosciuti [..] Fatelo in modo che la gente tremi a centinaia di chilometri da lì”.

E sono comandi operativi, come “dimostra la loro trasformazione in vere e proprie ordinanze, come quella rivolta ai bolscevichi di Penza l’11 agosto 1918: “Compagni! L’insurrezione di cinque distretti kulaki deve essere soppressa senza pietà. Gli interessi di tutta la rivoluzione lo richiedono […]. 1) Impiccate (e assicuratevi che le impiccagioni avvengano sotto gli occhi e alla presenza del popolo) non meno di cento kulak, ricchi, parassiti, che siano noti. 2) Pubblicatene i nomi. 3) Sequestrate loro tutti i cereali. 4) Indicate gli ostaggi in conformità al telegramma di ieri [“ostaggi” sono i familiari dei nemici del popolo in attesa di esecuzione, che venivano arrestati a loro volta, ndr.]. Vostro Lenin. Post Scriptum: Trovate delle persone davvero dure”.

Il 9 agosto aveva scritto: “È necessario organizzare una guardia di uomini scelti e fidati, che diano inizio a un regime di terrore spietato contro i kulak, i preti e le Guardie Bianche. Tutte le persone sospette devono essere internate in campi di concentramento. La spedizione punitiva deve aver luogo subito, Confermare telegraficamente l’esecuzione di questi ordini”. In un’altra disposizione: “Dobbiamo istituire immediatamente il terrore: scovare e liquidare centinaia di prostitute, ex ufficiali, ecc. Non vi sia un momento di indugio. Perquisizioni in massa, esecuzioni per occultamento e ricettazione di armi. Arresti in massa di menscevichi e altri elementi non fidati”.

Traggo le citazioni dal prezioso studio di Giannantonio Valli, Giudeobolscevismo – Il massacro del popolo russo – Edizioni Ritter, 690 pagine, 40 euro.

Libro opportuno per molte ragioni d’attualità. Una è una certa ri-valorizzazione nostalgica della dittatura sovietica che si sta contrabbandando dietro l’alone del prestigio di Putin sulla scena internazionale, e dell’essere questo antico agente del KGB il restauratore della Russia e l’antagonista morale del feroce capitalismo globale terminale, detto “democrazia occidentale”. L’altra è ricordare ciò che continua ad essere sostanzialmente occultato: che il bolscevismo fu radicalmente un “giudeo-bolscevismo”: e non solo perché Lenin era ebreo, ebrei erano i suoi complici del Comitato centrale, e quelli a cui dava quegli ordini di stermini, esecuzioni sommarie e impiccagioni, militanti locali e agenti della Čeka, erano in schiacciante maggioranza degli ebrei che applicavano con gioia settaria, tipica della loro “cultura” appresa nello Shtetl, l’antico odio e disprezzo giudaico per il contadino russo, il mugik: un animale ai suoi occhi. Di più: essi applicarono un marxismo dottrinario, gonfi di tutti i pregiudizi talmudici assorbiti nel loro ambiente, dei loro sogni di potere mondiale e della loro “elezione”, e delle letture della Bibbia e del Talmud orecchiate in sinagoga o in famiglia. Davvero vollero instaurate il regno messianico per mezzo del terrore, come insegna il Deuteronomio: “Oggi comincerò a incutere paura e terrore di te ai popoli che sono sotto tutto il cielo, così che, all’udire la tua fama, tremeranno e saranno presi da spavento dinanzi a te”. Il regno di felicità universale, il paradiso nell’aldiquà: instaurare “il Paradiso in terra” fu un’espressione leniniana, lo stesso che proclamò: “Costringeremo il genere umano ad essere felice, costi quel che costi!”.

C’è assai più che un ricordo della talmudica nozione per cui i non-ebrei sono animali parlanti nel seguente ordine di Lenin: “Ripulire il suolo della Russia di qualsiasi insetto nocivo, delle pulci: i furfanti, delle cimici: i ricchi. […] Su dieci persone convinte di parassitismo, se ne fucilerà una”.

E questi erano ordini che il capo del Partito-Stato dava ai capi periferici, senza mai definire giuridicamente chi fossero i “parassiti”, i “fannulloni”, gli “elementi inaffidabili”, e “i borghesi” nemici del proletariato: il paradiso terrestre ebraico ricostituito è, essenzialmente liberato dalla Legge … e da ogni legge. Ovviamente i capi locali, ebrei, si tenevano larghi nell’interpretazione del comando. Sicché “due anni dopo, parlando al congresso dell'USPD (partito socialdemocratico indipendente di Germania), Juli Martov, che aveva calcolato 10 mila vittime cadute per mano della Čeka nel terrore di settembre-ottobre, si scaglia contro tali efferatezze dichiarando, presente Zinovev: “Come rappresaglia per l’uccisione di Uricki e per l’attentato contro Lenin, due atti commessi da individui isolati e al massimo assecondati da alcune persone, furono giustiziate a Petrogrado, città amministrata da Zinovev, non meno di 800 persone […] tra i giustiziati c’era, per caso, un membro del nostro partito, Krakowski, un metallurgico. […] e Zinovev non può smentire che simili massacri vennero attuati in tutte le città della Russia per diretta raccomandazione del governo centrale […] le mogli e i figli degli avversari politici erano arrestati come ostaggi e in molte occasioni erano stati fucilati” (Martov, come Zinovev e Lenin erano ebrei).

Che importa? Radicalmente ebraico e messianico – e si ritrova nell’ideologia del “coloni” israeliani – è il grido che fu elevato dal giornale Kransyi Mec, Spada Rossa: “La nostra è una nuova morale. La nostra umanità è assoluta perché ha le basi nel desiderio dell’abolizione di ogni oppressione e tirannide. A noi tutto è permesso”.

Per il progetto di paradiso in terra, solo nel terrore rosso (1917-23) vengono uccise 1,8 milioni di persone. In pochissimi anni, e prima di Stalin. “Almeno un milione di vittime solo per motivi religiosi”: 28 vescovi, 21.330 monaci, 73.299 monache, 117 mila ecclesiastici”. La persecuzione della fede ortodossa durerà per tutto il periodo sovietico. Decine di migliaia di “borghesi”, professionisti o coltivatori diretti non importa, vengono eliminati. Dovunque plotoni di cekisti conducono esecuzioni capitali come in una catena di montaggio, sparando alla nuca a condannati, per ore ed ore (a ciascuno dei militi vengono fornite in abbondanza vodka e acqua di Colonia, per lavarsi dall’odore del sangue). Ovviamente è il collasso dell’intera società, con le prevedibili conseguenze, già nel primo anno del Nuovo Ordine paradisiaco: “L’inverno 1918-19 fu terribile nelle grandi città devastate dalla fame e dal tifo, private di combustibile di acqua e di illuminazione”, lasciò scritto Victor Serge, un filo-bolscevico: “negli edifici, le condotte d’acqua e di scarico gelavano. Le famiglie si radunavano attorno a piccole stufe […] libri, mobilio, le porte e i tavolati delle camere evacuate sostituivano la legna da ardere. A Pietrogrado e a Mosca vennero bruciate la maggior parte delle case di legno. Si trascorrevano le interminabili notti dell’inverno russo di fronte al fioco lume di una lampada. Il sistema di fognature non funzionava più; mucchi di immondizia si accumulavano nei cortili coperti di neve; con l’inizio della primavera avrebbero preparato una nuova epidemia”. L’epidemia di tifo a Pietrogrado, dice un altro testimone oculare: “Quest’inverno (1918-19) vi sono morte 300 mila persone [la città contava allora 2 milioni di abitanti]: è il tifo che, scoprendo questi trecentomila rattrappiti sotto la fame e il freddo, si è messo a giocare con loro”.

“Il vecchio bolscevico Leonid Borisovic Krasin, già braccio destro di Lenin nella fabbricazione di bombe, nel riciclaggio di denaro, nelle rapine in banca […] resta allibito di fronte alla furia devastatrice, e scrive alla moglie: “… Ha avuto inizio il periodo del cosiddetto ‘terrore’, una delle manifestazioni più disgustose dei neo-bolscevichi. Sono state fucilate a Mosca e a Pietrogrado dalle sei alle settecento persone [è il numero che abbiamo visto citato da Zinovev] nove decimi delle quali arrestate alla cieca e per il semplice sospetto che appartenessero alla corrente di destra dei socialisti rivoluzionari […] anche nelle provincie si sono verificati una serie di fatti rivoltanti, con arresti ed esecuzioni di massa”.

Viene da pensare (o fantasticare) che l’esperimento sovietico potesse meglio riuscire, se governato da russi, come Krasin. Maksim Gorki, il letterato e massimo leccapiedi del regime da cui è favorito parassita, non è (pare) ebreo: anche se ha lasciato scritto che la lettura del savio anziano Hillel (un rabbino contemporaneo di Cristo) gli aveva cambiato la vita, “Per la potente umanità che lo saturava e la sua alta stima dell’uomo”. Saturo di questa profonda umanità, Gorki potrà sopportare il genocidio dei kulaki (coltivatori diretti), che già Lenin cominciò alla grande e fu la causa della prima carestia 1921-22 (oltre 5 milioni di morti), con queste parole: “Suppongo che la maggior parte dei trentacinque milioni di affamati morirà. Morirà la gente semi-selvaggia, cupa, stupida dei villaggi russi […] e sarà sostituita da una nuova razza di persone istruite, ragionevoli, letterati, gente sensibile e di cuore”.

Compresi i due milioni di morti nella Grande Guerra e i milioni di emigrati-profughi soprattutto in Germania, gli eventi messi in moto dal giudeo-bolscevismo “depauperano il popolo russo, in soli nove anni, di 18 milioni di individui su 143”. I decenni seguenti, la seconda guerra mondiale, i Gulag staliniani, faranno sparire altri 40-60 milioni di russi, faranno una società ammutolita, impaurita dai delatori e dalla polizia, profondamente ferita. È a causa di questi se il granaio del mondo non avrà più una agricoltura fiorente condotta da coltivatori competenti (è il prezzo del genocidio dei kulaki e della collettivizzazione: altri 12-14 milioni di morti nei cinque anni della collettivizzazione forzata del 1929-34), se l’Ucraina ha il rigetto del russo, se – nonostante le sue eccellenze scientifico-tecniche – la Russia ha perso più di un giro nello sviluppo occidentale è un paese esportatore di materie prime anziché di oggetti industriali avanzati. Soprattutto, è l’eredità del giudeo-bolscevismo che oggi fa mancare a Vladimir Putin la potenza demografica, le decine di milioni di uomini, le incalcolabili “risorse umane” sprecate e distrutte nei Gulag che farebbero della Russia la superpotenza katehon di cui abbiamo bisogno. Risorse materiali ed umane che senza la rivoluzione, il regime zarista avrebbe infinitamente sviluppato meglio.

Contro la leggenda nera (ebraica) dello zarismo come economia “retrograda” basata sulla servitù della gleba, non si dimentichi che nel 1914 “la produzione industriale per abitante aumentava del 3,5% l’anno contro il 2,75% degli Usa e l’1 per cento della Gran Bretagna. Le riserve d’oro russe ammontavano nel 1913 a 1550 milioni di rubli, mentre erano stati emessi solo 1494 milioni di rubli-carta; in quella stessa data, il franco francese era coperto circa per il 50%. Nel 1908, il debito pubblico per abitante era a un indice di 58,7 in Russia, e di 288 in Francia. Nel 1912, la tassazione era all’indice 3,11 in Russia contro il 26,75 in Gran Bretagna e il 12,35 in Francia”. Il debito pubblico “nel 1914 era stato restituito all’83% grazie alle ferrovie dello Stato. Un'economista francese diceva allora: “Verso la metà del secolo, la Russia dominerà l’Europa politicamente, economicamente e finanziariamente” (Vladimir Volkoff, Le Montage).

Invece la Russia non sarà quel “Messico con le atomiche” di certa derisione americanoide, ma è una potenza minore, il cui sviluppo è stato storicamente stroncato, amputato e dimidiato dal feroce progetto di costruzione del “paradiso in terra” qui ed ora dei giudeo-bolscevichi.

Potrebbe essere la prima

Resta perfino incomprensibile come essi non abbiano saputo concepire altro che un impossibile “sviluppo attraverso la coercizione e il terrore” e il lavoro forzato, e pretendere di espandere questo modello (concentrazionario) al mondo. Perché non hanno cercato di includere nel progetto socialista le classi operose e intellettualmente alte? Perché amputarle sanguinosamente, privandosi del loro apporto produttivo? Non si potevano “liberare” le energie collettive invece di terrorizzarle e soffocarle nel loro sangue?

Ma queste domande nascono da un’idea di impero come un grande sistema politico di incorporazione, anche di popoli e genti diverse e ostili, per integrarli in una impresa comune, una dinamica convivenza. Noi abbiamo in mente la potenza cordiale e civilizzatrice di Roma. In essa, il popolo egemone si assume la responsabilità degli altri, li incardina ed eleva al suo destino superiore. Ma l’ebraismo non può pensare in questi termini il proprio potere mondiale. Non può concepire il Regno d’Israele se non come un’oppressione sterminatrice sugli altri popoli: “Oggi comincerò a incutere paura e terrore di te ai popoli che sono sotto tutto il cielo, così che, all’udire la tua fama, tremeranno e saranno presi da spavento dinanzi a te”, promette YHVH nel Deuteronomio (2,25). E su ogni popolo che incontrano nella mitica avanzata verso la Terra di Canaan: “Votammo allo sterminio ogni città, uomini donne bambini. O in Isaia 60: “La nazione e i re che non ti vorranno servire periranno, e tali nazioni saranno completamente distrutte”; “Con la faccia a terra ti si prostreranno e lambiranno la polvere dei tuoi piedi. C’è un popolo, 'Amalèk, di cui Dio comanda: “distruggerai tutto quello che ha e non avrai misericordia di lui” (Samuele I, 15:1-3). Ma non è affatto un popolo mitico. Ogni ebreo impara che deve fare “una guerra per il Signore contro ‘Amalèk di generazione in generazione” (Shemòt, 17:16), ossia che c’è in ogni momento storico una nazione che Israele deve distruggere “completamente” e “senza misericordia”. Gli armeni furono bollati come 'Amalèk dalla giunta dunmeh che prese il potere ottomano. Oggi, sono probabilmente gli iraniani. I kulaki lo furono per i giudeo-bolscevichi: fu decretata la loro eliminazione per esecuzioni di massa e per fame, privati delle sementi e degli animali: la carestia si diffuse in tutta la Russia. In Ucraina si ebbero molti casi di cannibalismo. Forse che il regime giudeo-bolscevico corse ai ripari? Tutt’altro. In una lettera segreta a Molotov datata 19 marzo 1922, Lenin scrive: “Con la gente affamata che si nutre di carne umana, con le strade coperte di centinaia, addirittura migliaia di cadaveri, adesso e soltanto adesso noi possiamo, e di conseguenza dobbiamo, confiscare i beni della Chiesa con l’energia più selvaggia e impietosa. Dobbiamo confiscare i beni della Chiesa il più rapidamente possibile e nel modo decisivo per assicurarci un fondo di centinaia di milioni di rubli”. I giudei favoleggiavano delle enormi ricchezze ecclesiastiche – “8 mila miliardi di rubli”: gli ori dei sacri oggetti avevano acceso per secoli le loro avide voglie; alla fin fine, i tesori confiscati si rivelarono argenti dorati, poco oro e perle, forse “fra i 4 e i 10 milioni di dollari, ma è probabile che la cifra più bassa fosse più realistica”. Ma l’Ortodossia era decapitata da almeno 8 mila esecuzioni e centinaia di chiese dinamitate (non una sola sinagoga fu demolita), e Lenin aveva motivo di consolazione. Già in una precedente carestia s’era rallegrato: “Distruggendo l’economia arretrata, la carestia ci avvicina obbiettivamente al socialismo […] inoltre la carestia distrugge la fede non solo nello zar, ma anche in Dio”.

Si ricordano queste cose non per suscitare odio. Ma poiché il governo mondiale di Sion sembra si stia instaurando, e i potenti dell’Occidente si prostrano al tempio dell’Olocausto e abbiamo visto perire molti re che non volevano servire Sion – Irak, Siria, Libia – e “tali nazioni completamente distrutte”, mentre impera il loro potere finanziario globale; la società del benessere si muta in società della esclusione, ineguaglianza e miseria; e non è lontana nemmeno la persecuzione religiosa, nel “civile” Occidente in via di metamorfosi totalitaria (il totalitarismo della dissoluzione, veicolato dai tabù del politicamente corretto), è utile rievocare quel grande esperimento precedente di Paradiso in Terra attuato da Sion. Onde sapere almeno, quando sarà instaurato il successivo, che non sarà un impero ma il suo contrario: un anti-impero, fondato sull’esclusione anziché sull’inclusione; un contro-impero di consanguinei invece che di “genti diverse”; fondato sul terrore e il servaggio anziché sulla cordiale amicizia verso il genere umano; sulla sua distruzione invece che sulla sua elevazione. Dalla storia del giudeo-bolscevismo sappiamo anche che fallirà; ma non senza aver gravemente ferito, e forse fatto perire, l’umanità goy.

Nota: solo nel 1997 si è ammesso che Lenin era ebreo. L’aveva tenuto fieramente celato.

Extrapedia Autori
15 Aprile 2016
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