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Da dove cominciare

«[…] quanti di noi vorrebbero cambiare ciò che ci circonda, ma non si sa da dove e come cominciare».

Senza ripete gli esempi già esposti in “Evoluzione” che spero ricorderete, o al limite andrete a rivedervi, ne riprenderò le fasi: una in particolare che riguarda il “Progetto” scelto, per aprire uno spiraglio sui tanti e possibili: “da dove cominciare”.

Quando una situazione ci fa soffrire, abbiamo solo due strade percorribili: o stringiamo i denti e accettiamo quella sofferenza (come purtroppo ci hanno insegnato i nostri predicatori, magari “porgendo anche l’altra guancia”), o cambiamo strada tante e tante volte finché non troviamo quella giusta che ci appaghi (la stessa regola adottata dalla Natura che procede ed evolve per tentativi). In questo caso, tuttavia, non c’è mai nessuno che volga indietro lo sguardo a quella sofferenza e che provi gratitudine nei confronti di un qualcosa che, sebbene ci abbia segnato, ci è stata d’aiuto per migliorare le nostre condizioni.

In questo, poi, nessuno si pone il quesito più importante: «Se dovevo cambiare strada e fare esperienze nuove e diverse, non è che a monte di tutto ciò c’è un percorso/progetto preconfezionato che devo obbligatoriamente seguire?». «Chi regola allora la mia vita terrena? Chi ne stabilisce l’orientamento?».

A questo punto, dovremmo porci anche un’altra domanda: «Se sono costretto a seguire una certa via e, in quanto essere umano, non ho evidentemente un libero arbitrio a 360° (in alternativa posso solo scegliere d’incaponirmi perseguendo la stessa via e sopportare la sempre più crescente sofferenza e i disagi che ne conseguono), a che serve impuntarsi? Non è più saggio che mi lasci andare al flusso degli eventi che “progettualmente” è previsto debba affrontare?»

«Allora, il “Progetto” è “più forte di me” ed è quello che tira i fili della mia esistenza terrena?» No! È qui che sta l’errore concettuale che fa perdere di vista l’onnipresente “spiraglio di luce”. Io sono il “Progettista”! Sono Colui che ha disegnato il progetto, che lo ha fatto in un certo modo per uno scopo ben preciso ed essendo sempre io che interpreto sia il progetto, sia il risultato finale, devo dare coerenza e continuità al tutto. Il “Progetto” serve solo a rammentarmi ciò che solo io e, nessun altro all’infuori di me, ha scelto di realizzare, sperimentandone la “vivibilità”. Sono sempre io che ho curato i dettagli, anche i più piccoli, sono sempre io che ho scelto la componentistica, dotando la mia parte che deve fare l’esperienza più diretta (quella terrena) di una specie di fornitissima “cassetta degli attrezzi” per dare pieno compimento al progetto stesso.

Quando ci si impantana e non si riesce più ad andare avanti è solo perché non ricordiamo più dove abbiamo riposto quegli “attrezzi” che ci avrebbero aiutato a superare le impasse.

A questo punto, allora, o facciamo uno sforzo mnemonico (andiamo per tentativi soffrendo) e li ritroviamo per proseguire con la realizzazione del progetto iniziale, oppure l’unica possibilità che ci rimane (tipo paracadute) se non ritroviamo la famosa cassetta degli attrezzi è quella di riconoscerci progettisti e cambiare completamente i precedenti propositi (collasso d’onda, o neuroplasticità).

Detto così può sembrare facile, ma non lo è, soprattutto se ci ostiniamo a segnare il passo, ci perdiamo piangendoci addosso, o ragioniamo a circuito chiuso.

Non è facile digerire, non tanto il fatto che siamo sempre stati ingannati, ma che abbiamo permesso che ci ingannassero. È difficile ammetterlo perfino a noi stessi! Non è facile abbandonare figure legate alla religione, non perché inventate e quindi inesistenti, ma perché ci sentivamo in qualche modo compresi, custoditi, amati e protetti, nonostante i nostri “difetti”. Non è facile in questo marasma di menzogne e storture comprendere quale sia la verità. Non è facile lottare contro noi stessi, accettando la realtà che la maggior parte delle nostre azioni e riflessioni sono automatiche, dettate da un subconscio limitato, ma allo stesso tempo potente e prepotente, che agisce anche quando riteniamo che siano elaborazioni consce…

Invero, abbiamo a che fare con milioni di concetti sabotanti e, altri contrastanti, che arrivano da innumerevoli parti.

  • Cinquanta trilioni di cellule, che compongono il nostro corpo, sono cinquanta trilioni di cervelli e, soprattutto banche dati, che hanno fatto esperienza nei modi più disparati e, volendo esprimere il loro parere, cercano d’imporsi (quando si nasce, non illudetevi che le cellule del nuovo corpo siano create ex novo. Sono continuamente “riciclate”…). Diventano presuntuose perché, se sono arrivate fin qui, ritengono giustamente di avere valide ragioni da esporre e le manifestano principalmente nella paura del cambiamento… ma sappiamo (???) che sono l’origine del nostro oblio nei confronti della nostra vera natura. L’autocoscienza (consapevolezza), infatti, quella che ci fa credere d’essere Tizio, Caio, o Sempronio, anziché il Progettista, è opera loro.
  • L’ambiente famigliare, anche se involontariamente, ha un peso determinante, giacché il bambino, dal ventre materno fino ai sei anni, assorbe tutto come una spugna e, quest’esperienza, sarà l’ossatura portante (banca dati/subconscio) di tutta la sua esistenza da adulto. Qui mi soffermo un attimo per sottolineare un punto importante: se si conosce la Realtà, anche solo a livello teorico e non si riesce a metterla in pratica, è bene in ogni caso trasmetterla ai propri figli (questo vale anche tra adulti ovviamente), affinché abbiano basi diverse da quelle erroneamente apprese a loro volta dai genitori e siano più facilitati nel loro percorso esperienziale.
  • La scuola è il primo “campo di battaglia”, dove si omologano gli individui piegandoli, volenti o nolenti, a un sistema imposto dal potere (politico e religioso) dove la figura del Progettista scompare letteralmente, o nel migliore dei casi, diventa un qualcosa di astratto e di tanto lontano dall’individuo stesso che è portato a temerlo. Questo, ovviamente, per potere tenere gli individui sotto controllo e, dominio, perpetui. Quelli che sono impegnati nell’attività di manipolarci comprendono che, per potere accettare i loro precetti basati sulla paura e vivere conformemente a essi, per prima cosa dobbiamo essere distratti da noi stessi e dalla nostra vera natura.
  • Poi ci sono le deleterie e annichilenti credenze, le esperienze lavorative, le relazioni di coppia, le delusioni, le amarezze… e, quant’altro… Guardiamoci un attimo allo specchio. Come siamo? Arrabbiati, ingannati, derubati, frustrati, depressi, ammalati, insoddisfatti, delusi, castigati, castrati, schiavizzati, tormentati, affamati, torturati fisicamente e psicologicamente, violentati, assassinati e, chi più ne ha più ne metta… c’è qualcuno che non abbia qualcosa di cui lamentarsi?

Ho scritto i primi tre articoli della seconda serie con tematiche e, toni forti, tutti mirati, non perché si accendesse in voi la miccia dei rivoluzionari (le rivoluzioni se non sono individuali non servono a nulla), ma perché vi poneste la domanda che segue.

Ha un senso tutto questo? Sì! Anche tutto questo rientra nel progetto, per porsi proprio questa domanda e da qui partire alla scoperta di se stessi e della propria vera natura. Questa è la “cassetta degli attrezzi” d’emergenza, non è individuale, ma è messa a disposizione di tutti come un normalissimo Pronto Soccorso!

Nascere, studiare, lavorare, fare figli e… morire… che razza di progetto divino sarebbe, per come ce la raccontano, se il significato della vita fosse tutto qui?

Se la vita dell’uomo fosse limitata al nascere, crescere e morire perché lottare disperatamente quando si ha di fronte non la speranza dell’esistere, ma la certezza di morire? Che senso potrebbe avere l’affannarsi per qualcosa che tende all’annientamento?

«Se la vita dell’uomo non avesse un più profondo significato, trascendente la stessa dimensione individuata, essa sarebbe solo un inganno e una crudeltà irrazionale: il buon pensante potrebbe rifiutare un tal genere di “vita senza domani”…». Il sapere convenzionale, purtroppo, persiste nel rafforzare le credenze che il denaro ci renderà felici, gli armamenti ci metteranno al sicuro, i farmaci ci renderanno sani e, un numero sempre crescente d’informazioni ci renderà saggi. Queste espressioni disfunzionali della quotidiana realtà non sono un risultato del cablaggio dell’umana natura, ma hanno origine dall’inumana natura del pensiero (sabotante), elevate al ruolo di credenze programmate (cioè subconscie).

Da dove cominciare allora? Dando risposta alle tre classiche domande che l’uomo s’è posto fino dalla notte dei tempi: «Come siamo arrivati qui?» – «Perché siamo qui?» – «Adesso che siamo qui, come possiamo trarne il massimo beneficio?» e per riuscirci, inizialmente abbiamo solo un misero 5% di cervello conscio a disposizione che dobbiamo utilizzare in azioni mirate, non distraendoci, mettendo in moto e tenendo sempre attiva la volontà, focalizzata sull’obiettivo primario. Pian piano le informazioni subconscie saranno aggiornate coi nuovi dati e ci daranno manforte.

Per “cambiare ciò che ci circonda“, allora, occorre prima d’ogni altra cosa cambiare se stessi! Cioè, tornare a fare i Progettisti… (Attenzione! “Fare i progettisti” significa essere pienamente convinti d’esser tali. Pensare solo d’esserlo non basta)… non restando semplici manovali, prossimi alla disoccupazione…

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db/da_dove_cominciare.txt · Ultima modifica: 28/01/2021 18:58 da @Staff R.