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Un’altra industria estrattiva ha raggiunto il Picco?

La cosa è andata avanti dal 1993 ad almeno il 2009: certi dipendenti della Claims Conference, l’organizzazione per il reclamo dei beni e indennizzi alle vittime dell’Olocausto, mettevano inserzioni su giornali – preferibilmente in lingua russa – cercando persone che per età avessero vissuto nella seconda guerra mondiale, li trasformavano in credibili “vittime della Shoah” con un vero corso d’addestramento che creava loro la più viva e dettagliata “memoria” delle sofferenze che (non) avevano subito nei Lager che non avevano mai visto, e li presentava alle autorità tedesche e austriache perché pagassero l’indennizzo. E riscuotevano una tangente con la nuova vittima. I soldi, tanti. La Germania dà 3 mila euro una tantum agli ebrei che dicono di esser dovuti fuggire dalla Germania verso la Russia, e 200 mila pensioni a poveri ebrei sopravvissuti alle inenarrabili atrocità che ancor oggi ostentano, ossessionati dalla “memoria” delle brutalità. In tutti questi anni, lorsignori hanno fregato, si disse all’inizio, 47 milioni di dollari. Cifra poi salita a 57 milioni.

Un capolavoro. Una insuperata coniugazione di fanta-narrativa ebraica, di Chutzpah, di altissima produttività dell’Industria dell’Olocausto e di vittimismo “chiagni e fotti” a cui il miglior truffatore napoletano non può stare alla pari. Alla fine del 2010 un tribunale americano, messo davanti a precise denunce, ha incriminato e condannato undici membri della Claims Conference per truffa e appropriazione indebita aggravata; naturalmente la direzione della Claims Conference s’è portata “parte civile”, ossia s’è dichiarata vittima (è un’abitudine) dei suoi disonesti dipendenti come se non ne sapesse niente (anche se uno dei condannati – a otto anni – era un suo direttore, Semen Domnitser), riuscendo a recuperare 10 milioni dai non aventi-diritto al chiagni-e-fotti.

Adesso lo scandalo, delicatamente taciuto dai media, sta per essere riaperto. Colpa o merito di Shmuel Hollander, un mediatore indipendente scelto dalla Claims Conference tre anni fa per stilare un rapporto sulla frode. Arrabbiato nero per aver saputo che il suo contratto non veniva rinnovato, e perché il presidente della Claims, Julius Berman, glielo ha comunicato spiccio per telefono, il licenziato Hollander ha scritto il 29 giugno al Consiglio d’amministrazione della Claims Conference, spiegando che: 1) era stato licenziato perché la sua inchiesta era rimasta sgradita alla più alta direzione dell’organizzazione; 2) nel suo rapporto forniva la descrizione di come la Claim Conference ha sabotato, nel 2001, l’opportunità di mettere in luce il sistema di frode, infischiandosene dei suggerimenti proposti da Hollander per riformare la struttura e la gestione dell’organizzazione; 3) accusando direttamente Greg Schneider, il vicepresidente esecutivo della Claims, di aver ostacolato la sua inchiesta interna; e infine, sostenendo di avere le prove che la cifra truffata è “molto di più” dei 57 milioni di dollari finora accertati.

Berman ha risposto alle accuse con un comunicato alla Jewish Telegraphic Agency; la faccenda è riportata ampiamente da Haaretz. Forse troppo; non sarà tanto facile evitare in nuovo processo penale.

La Claims Conference (precisamente Conference on Jewish Material Claims Against Germany) è stata fondata nel 1951 dal World Jewish Congress (WJC) ed altre entità (il suo primo presidente fu Nahum Goldman allora presidente del WJC) è il titano dell’Industria dell’Olocausto, una colossale idrovora di denaro in questo particolare settore estrattivo: nel 1978, dopo 25 anni di funzionamento, era già riuscita a spillare alla Germania Ovest 53 miliardi di Deutsch Mark. E ancora nel 2014 ha dichiarato di aver versato 760 milioni di dollari, e nel 2015 ne pagherà 900 milioni, alle vittime della Shué: il cui numero evidentemente aumenta, anziché calare, con l’avvicinarsi del secolo dalla fine del Terzo Reich. Com’è naturale.

Naturalmente i dirigenti della Claims si auto-compensano profumatamente per la loro creatività ed altissima produttività, come del resto è giusto (tanto paga Berlino, che in questo caso non esige austerità né bilanci in ordine). Il 19 maggio 2006 il The Jewish Chronicle ha reso noto che Gideon Taylor, il vicepresidente esecutivo della Claim, aveva un emolumento di 437.811 dollari annui. “Un vicedirettore prende più delle compensazioni di centinaia di schiavi dei lager”, lamentò tal Pinto-Duschinsky, un rappresentante dei sopravvissuti oggi abitanti nel Regno Unito. Uno degli ex presidenti del WJC, Isi Leibler, ha attaccato sul Jerusalem Post “la più ricca fondazione ebraica del mondo che non riesce a fornire assistenza adeguata ai sopravvissuti dell’Olocausto vecchi e malati, che vivono in abietta miseria al tramonto dell’esistenza. Una organizzazione che ha un fondo di 900 milioni di dollari in attivi! È uno dei maggiori scandali della vita ebraica” (8 maggio 2007). Persino uno dei tesorieri della Claims, Roman Kent, un sopravvissuto: “Spendiamo denaro per migliaia di progetti, mentre i sopravvissuti soffrono… e dovrebbero essere la nostra priorità”.

Effettivamente la Claims spende un sacco di soldi per finanziare programmi di “educazione all’Olocausto, documentazione e ricerca”, e organizza migliaia di viaggi di giovani ebrei in Israele, onde prendano contatto col loro retaggio (Birthright) e ovviamente, con la “memoria”.

Ma sono spese – per usare una metafora dell’industria petrolifera – di “coltivazione” e prospezione. Spese di produzione per mantenere viva e prospera un’Industria che, come si teme per quella del greggio, ha superato il Picco: il temuto Picco petrolifero la prima. L’altra non ha un problema diverso.

Prendiamo il “Programma per ex Schiavi e Forzati” gestito dalla Claims, che prevede un compenso dalla Germania per “le persone obbligate al lavoro in un campo di concentramento, un ghetto, o un luogo di incarcerazione simile sotto condizioni paragonabili”: s’è dovuto chiuderlo. Non si accettano più nuove domande. O il “Fondo per le Vittime di Esperimenti Medici ed altre ferite”: anche qui, la data ultima per la domanda è scaduta da tempo. Più passano i decenni, più bisogna applicare la più ardita creatività per giustificare il flusso in crescita degli indennizzi, e la sicura continuazione dei mega-stipendi degli amministratori delegati della Claims. Non che le risorse di fantasia facciano difetto. Per esempio la Claims ha fatto ottenere gli indennizzi come vittima dei nazisti ad Alex Kurzem, un anziano riparato in Australia, che da piccolo ebreo nato in Bielorussia (allora il suo cognome era Galperin, disse) assisté all’assassinio della mamma, si rifugiò nelle foreste, soffrì la fame fino a quando – miracolo – fu adottato da un battaglione di SS lettoni perché biondo e bello, e creduto di pura razza ariana. Su questa storia Kurzem ha scritto un libro, completo di sue foto d’epoca di ragazzino in divisa nazista cucita su misura per lui, fra SS di cui era diventato la mascotte: Mascot, appunto, il titolo della fortunata narrativa. Su questa storia la TV australiana ha mandato in onda un documentario, nel mondo numerosi media si sono inteneriti per questo innocente fanciullo manipolato dai nazi, colpevoli non di averlo perseguitato ma di averne fatto un collaborazionista, addirittura il vezzeggiato coccolino del criminale nazista Karlis Lobe… un trauma che meritava, eccome, un indennizzo.

Nella foto: la piccola vittima dell’Olocausto fra i suoi amici

Anche se nel 2011 il Melbourne Herald Sun ha messo in dubbio la storia di Kurzem; fino al punto da sospettare che non sia mai stato ebreo (lui ha rifiutato l’esame del DNA), ma, come proverebbero le foto che ornano le sue memorie, un vero piccolo nazista convinto. Ed ariano. Ora, se la Claims Conference ha fatto ottenere un indennizzo a un ariano, ecco un eccesso davvero imperdonabile, che può dare un colpo decisivo a questo settore estrattivo.

Extrapedia Autori
22 Luglio 2015
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db/un_altra_industria_estrattiva_ha_raggiunto_il_picco.txt · Ultima modifica: 10/06/2021 11:38 da @Staff R.