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db:il_lupo_che_si_travesti_da_agnello

Il lupo che si travestì da agnello…

Cat. “Autori
Roberto Morini (fisico nucleare e filosofo)
16 giugno 2016

… lo prese in culo dal montone“.

È uno dei tanti gadget che si possono trovare nei bazar. Ma è quello che potrebbe accadere agli americani, i quali, sottovalutando la Russia, continuano a sfidarla e a minacciarla, confidando magari in una sua mossa sbagliata, che possa giustificare un intervento diretto della coalizione NATO.

La sfacciataggine del segretario di Stato americano, John Kerry (degno successore della Clinton), non ha limiti. Ieri, “Ria Novosti” (link) ha pubblicato un articolo sulle dichiarazioni pubbliche di Kerry riguardanti la Siria: «La Russia deve capire che la pazienza non è infinita, è in realtà molto limitata e, Assad, deve essere assicurato alla giustizia (ovviamente alla solita maniera americana)».

Tutti e, Kerry in primo luogo, si guardano bene dal porre in evidenza fatti sconcertanti riguardanti i rifugiati siriani e, per questi, d’invocare lo stesso tipo di giustizia.

Un reporter di “Dimpe News” (link all’articolo di ieri), che ha recentemente visitato un campo profughi a Lesvo, ha rivelato che esiste una stretta collaborazione tra la mafia turca e israeliana, specializzata nel commercio di organi umani. Soprattutto reni, asportati ai rifugiati siriani. «Ci sono troppi cadaveri galleggianti nel Mediterraneo, soprattutto tra gli isolotti disabitati adiacenti le acque turche e greche. Suture nel ventre, dei cadaveri di siriani, che dimostrano che i reni sono stati rimossi prima della loro morte. I pescatori greci hanno indicato soprattutto i rifugiati siriani nell’isola di Lesbo, che sarebbero trasportati illegalmente negli ospedali turchi per prelevare loro gli organi, per gettare poi i loro corpi in mare». Siccome i reni devono essere trapiantati entro 48 ore – continua l’articolo – significa che i trafficanti d’organi mantengono stretti rapporti con funzionari di vari paesi, in primo luogo della Turchia.

Questo è un altro “merito” da aggiungere al curriculum del futuro presidente degli Stati Uniti: Hillary Clinton!

Gli Stati Uniti, molti paesi occidentali e, parte dell’opposizione siriana, che collegano la soluzione del conflitto in Siria alle dimissioni di Assad dalla carica di presidente, insistono sul fatto che il leader siriano non abbia posto nel futuro del Paese.

La parte russa ha ripetutamente affermato che il futuro di Assad e, della leadership siriana, possono essere impostati (giustamente in un Paese sovrano) solo dal popolo siriano.

Quello che emerge, da questi confronti, è un tatticismo completamente diverso tra i due schieramenti.

In attesa del vertice NATO che si terrà a Varsavia l’8 e il 9 luglio prossimi, la stessa, a guida americana, sta militarizzando il Mar Nero in contrasto con la convenzione di Montreux, che vieta il controllo del Mar Nero e, dello stretto, a paesi che non appartengono al “BLACKSEAFOR” (cooperazione creata nel 2001 e formata da: Russia, Turchia, Ucraina, Romania, Bulgaria e Georgia).

Conformemente all’accordo di Helsinki del 1975, l’attuale status quo non consente la partecipazione delle forze di terzi per fornire stabilità politico-militare nel Mar Nero. La stabilità nel Mar Nero è salvaguardata dalla presenza della flotta russa, anche se ultimamente, sia l’Ucraina, sia la Turchia, hanno implementato le rispettive flotte.

Come gli Stati Uniti siano riusciti a penetrare, con sommergibili e con il cacciatorpediniere “Porter”, nel Mar Nero senza violare le convenzioni internazionali non è chiaro – scriveva ieri Pentapostagma (link). Probabilmente attraverso una specie di “Leasing” ufficiale, stipulato con paesi come la Turchia o l’Ucraina, laddove gli americani mantengono sempre e, in ogni caso, il pieno controllo di questi natanti.

Già, nel Mediterraneo orientale, sono presenti le portaerei americane “Harry Truman” e “Dwight Eisenhower”, mostrando i muscoli contro la Russia. Ma ciò che è chiaro – continua il quotidiano greco – è che nel Mar Nero si ergerà la “tempesta”. Una terribile resa dei conti tra gli Stati Uniti e la Russia di Putin che coinvolgerà tutto il mondo. La verità è che in questo scontro, il primo paese a scomparire sarà la Turchia.

La megalomania (psicologicamente: l’altra faccia della paura), tipica americana, ha portato il suo popolo a vivere sopra le proprie possibilità, ergo, a depredare continuamente le ricchezze degli altri paesi. È con la stessa boria, in perfetto e continuativo stile Reagan che, ora, mostra muscoli e forze che di fatto non ha, confidando nella deterrenza.

Dall’altra parte, quella russa, tutto sembra muoversi alla luce della diplomazia, ma il fuoco che ha covato indisturbato sotto le ceneri per tanti anni, non si sa che proporzioni abbia assunto. Si può solo cercare d’immaginarlo.

Che le truppe di terra russe siano presenti in Siria, per esempio, si è saputo solo tramite una frase che è sfuggita al vice ministro della Difesa russa, Anatoly Antonwf (riportato da “Dioptra News” – la pagina non esiste più - ndr), sui rinforzi (15.000 soldati) che saranno inviati «… per raggiungere i soldati russi operanti nel Paese» che stanno assistendo le forze armate siriane. Se il numero totale dovrà toccare le 25.000 unità, secondo le stesse dichiarazioni, significa che ben 10.000 soldati sono da tempo presenti e, operanti, su territorio siriano, laddove si era parlato ufficialmente di un ritiro totale.

Che gli americani, poi, abbiano installato uno scudo antimissile (sempre che non sia come quei “tarocchi” che vogliono piazzarti negli autogrill in autostrada) in Romania, chiaramente rivolto contro la Russia, è poco influente contro i suoi missili Iskander (codice NATO SS-26 Stone) che viaggiano a quote completamente diverse dai rilevamenti. Lo scudo a Deveselu non può intercettare nulla al di sotto degli 80.000 metri, altitudine da cui iniziano a operare i suoi sensori. Quando, poi, entra nel sistema di monitoraggio dei classici Patriot, e la Romania non ha nessun intercettore di questo tipo, l’Iskander spara dieci falsi obiettivi sotto forma di riflettori metallici. I sistemi di difesa hanno poco tempo per distinguere una testata Iskander da falsi obiettivi e per essere certi di abbattere un solo Iskander in quota, dovrebbero lanciare, contemporaneamente, undici missili Patriot e… gli Iskander, con un raggio d’azione di 500 Km, secondo la tattica di lancio utilizzata, determina un numero di lanci simultanei di due coppie di missili (Valentine Basileskoy esperto militare rumeno, ex vice comandante militare della Forţele Aeriene Române – aeroporto di Otopeni – Romania – link al francese “Reseau International”)…

Questo, tuttavia, è nulla in confronto al dimenticato e/o volutamente ignorato sistema difensivo russo “Perimeter”. L’arma, anche conosciuta come “Mertvaya Ruka” o “Dead Hand”, è stata costruita poco più di trent’anni fa, nel 1985. Non è fantasia da scrittori di fantascienza, o di paranoici ossessionati dall’Apocalisse, né un deterrente («Un dispositivo del genere funziona come deterrente solo se il nemico è a conoscenza della sua esistenza» – dal film di Kubrick “Il dottor Stranamore”). Un segreto tuttora custodito gelosamente e, forse non è un caso che un ufficiale sovietico, dopo avere parlato di “Perimeter” con gli americani sia misteriosamente morto cadendo dalle scale.

A parlarne nervosamente è stato Valery Yarynich, ex colonnello, un veterano che ha prestato servizio per trent’anni nelle Forze missilistiche strategiche sovietiche e che ha partecipato alla realizzazione del progetto. Lo ha fatto in un’intervista rilasciata a Nicholas Thompson (senior editor di “Wired”), nel marzo 2009, in un bar di Washington DC, pubblicata solo il 21/09/2009, dopo le verifiche del caso.

L’arma finale, a disposizione dei sovietici, doveva garantire un pronto contrattacco verso gli USA nel caso di un loro attacco nucleare. Non importa se questo avesse raso al suolo tutta l’URSS, Cremlino compreso: una serie di sensori terrestri avrebbero rilevato un’imponente esplosione e attivato “Perimeter”.

La prima fase del suo funzionamento consisteva nell’attivazione, basata su quattro condizioni da verificare. Prima di tutto, il sistema valutava se c’era stato un attacco atomico, sulla base dei rilievi di alcuni sensori. In caso affermativo, verificava che il Comando Generale fosse vivo. In caso affermativo, “Perimeter” si bloccava, mentre in caso negativo passava il proprio controllo a dei nuclei operativi nascosti in bunker segreti e indistruttibili. Saltando a piè pari la normale procedura burocratico-militare e mettendo nelle mani di chiunque ricevesse il segnale la possibilità di dare inizio al contrattacco. In questo infausto caso, si sarebbero attivati degli appositi missili, nascosti e protetti in enormi silos sotterranei. Una volta lanciati, avrebbero dato ordine, tramite segnali radio a tutte le armi sopravvissute all’attacco nucleare, di colpire gli Stati Uniti.

Stando a Yarynich, e all’ufficiale spaziale Alexander Zheleznyakow, “Perimeter” non è stato mai dismesso e la segretezza dell’intero progetto è stata mantenuta non solo per evitare che gli Stati Uniti capissero come disattivare il sistema, ma anche per frenare eventuali “teste calde” che si fossero impossessate del comando sovietico. Perché, stando a Zheleznyakow, il fatto di sapere che esisteva un sistema potente quale “Perimeter”, in grado di distruggere l’avversario in un solo colpo, avrebbe moderato qualsivoglia proposito d’attacco. La Russia, insomma, avrebbe vinto comunque, quindi non c’era d’avere fretta.

Yarynich, molto tranquillamente, ha insistito sul fatto che, in ogni caso, l’ultimo comando dovrà essere dato da un essere umano che dovrà premere il pulsante. Ma, a conclusione dell’intervista lascia tutti col fiato sospeso con una serie infinita d’interrogativi: «Perimeter è continuamente aggiornato!».

Extrapedia Autori
a cura della Redazione di Extrapedia


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