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Appendice

all'articolo “Riforme proibite: i veti di Washington e Berlino” di Marco Della Luna.

Attenzione: è citato un allegato che non è stato allegato…

A-STORIA DI UN TENTATIVO

Un economista che ho frequentemente citato e che apprezzo particolarmente, e tanto più quanto più lo conosco, anche sul piano umano, è Antonino (Nino) Galloni, ex direttore generale del Ministero del Lavoro. Con lui, fonte inesauribile di conoscenza anche dei meccanismi della finanza pubblica, ho la fortuna di cooperare nell’impresa di elaborare un piano di salvezza per questo paese in cui abbiamo avuto la ventura di nascere.

Col suo aiuto, ho potuto ricostruire gli anni letali per l’indebitamento dello stato italiano e per il sabotaggio dei tentativi di correggere la traiettoria distruttiva della finanza pubblica. E come i poteri forti sono intervenuti, attivamente, per impedire la soluzione che egli aveva avviata.

Questi poteri volevano la crisi finanziaria del paese. Erano i poteri della grande finanza, quella che si arricchisce inducendo le recessioni economiche per poter rastrellare ricchezze sotto costo.

Nel corso degli anni ‘80 – riferisce Galloni – sono state praticate le scelte di politica economica e monetaria che hanno poi determinato gli esiti propri del decennio successivo e dell’attuale:

nel 1982, si è proceduto all’eliminazione dei “vincoli di portafoglio” delle banche che, imponendo a queste ultime l’acquisto dei titoli del debito pubblico a bassissimo tasso di interesse, consentivano allo Stato di approvvigionarsi di moneta senza stamparla ex novo e senza far crescere in modo esponenziale il debito stesso, come accadrà in seguito (per la cronaca, le banche – potendo utilizzare tali titoli, che devono acquisire coattivamente, nelle loro riserve obbligatorie – ne trovano un beneficio perché, diversamente, sarebbero state costrette a congelare somme corrispondenti di denaro vero);

nel 1983, il cosiddetto divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia costrinse lo Stato ad approvvigionarsi di moneta per finanziare i propri disavanzi ricorrendo direttamente al “mercato” (ai singoli risparmiatori ed alle banche come soggetti privati e, comunque, al tempo, già in corso di completa privatizzazione);

a partire dal 1984 inizia l’espletamento di aste pubbliche – a cui partecipavano solo le grandi banche – allo scopo di vendere (a tassi crescenti di interesse) i titoli del debito pubblico per finanziare i disavanzi con un sistema (le cosiddette aste marginali) che consentiva di applicare a tutta l’emissione il prezzo più elevato dell’ultima, al limite piccola, tranche di titoli che le banche stesse esitavano fino all’ultimo ad acquistare, proprio allo scopo di far schizzare verso l’alto i rendimenti dati dai tassi di interesse;

nel febbraio-marzo del 1985, il rendimento dei titoli del debito pubblico italiano superava il costo del denaro per i migliori clienti (allora si chiamava MLR, mininum lending rate) sicché, una bella mattina, un illustre personaggio – ad esempio Gianni Agnelli presidente della Fiat – poteva richiedere un prestito di 5.000 miliardi di lire alla propria banca al 13,5% e comperare titoli di Stato che rendevano il 16,5% e, quindi, guadagnare in una mezzoretta il 3% di 5000 miliardi, vale a dire 150 miliardi (per una fatalità del destino proprio quella mattina in cui l’economista Nino Galloni denunciava su Repubblica la pericolosità di una situazione del genere, il presidente della Fiat entrò nella sua banca per compiere la citata operazione… quella strana coincidenza incuriosì molto le autorità di polizia del tempo che cominciarono a controllare più da vicino il citato economista, peraltro figlio di uno dei più noti esponenti della Democrazia Cristiana al potere in quegli anni);

nello stesso 1985, incominciarono ad affluire nella pubblica amministrazione italiana (Ministero del Tesoro e Ministero del Bilancio dove Galloni era funzionario di ruolo) esperti del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale col compito di scalzare i dirigenti dell’amministrazione stessa dalla redazione dei più importanti documenti di politica economica del Paese (tra cui la “Relazione Previsionale e Programmatica” che era l’antenato dell’attuale Documento di Programmazione Economica e Finanziaria);

nel frattempo si era organizzato un certo dissenso verso le scelte di politica economica e monetaria che stavano espropriando del tutto la sovranità dello Stato, dando un’importanza decisiva alle grandi banche di interesse nazionale (in via di privatizzazione spinta), mettendo in crisi l’economia produttiva e l’occupazione con gli alti tassi di interesse, bloccando gli investimenti pubblici in infrastrutture e ricerca, riaprendo la forbice tra un Sud in ritardo e un Nord industrialmente più avanti (oltre al professor Federico Caffè ed al suo allievo Paolo Leon si potevano annoverare tra i critici alcuni politici come il leader di Forze Nuove, Carlo Donat Cattin, ed il sottosegretario al Tesoro, Carlo Fracanzani, che chiamerà a collaborare con sé l’economista Galloni il quale, nel frattempo, aveva lasciato il Ministero del Bilancio per profondi dissidi con i suoi Ministri ed aveva prodotto un documento in cui prevedeva, nel giro di 4 o 5 anni, il raddoppio del debito pubblico e della disoccupazione giovanile in Italia; anche nel PCI vi era una frangia di ben preparati economisti che facevano capo al CESPE (il servizio studi del partito) e che avrebbero dovuto dar seguito ad alcune iniziative promosse – contro le scelte di politica economica e monetaria – dalla sinistra DC, di cui era stato incaricato proprio Nino Galloni e che avevano trovato una certa eco nei seminari da lui coordinati per la rivista Itinerari – ad essi avevano preso parte i futuri nomi noti della politica e dell’economia come Giulio Tremonti, Mario Draghi e Giuliano Amato

– e sulla rivista di Carlo Donat Cattin, Terza Fase; ma una perentoria pressione dell’allora Governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, sul segretario del PCI Enrico Berlinguer sconsigliò quest’ultimo partito dall’impegnarsi troppo nella battaglia, visto che tutti i figli della nomenklatura di quel partito si stavano preparando alle future responsabilità nei servizi e centri studi delle banche;

Galloni si era fatto anche notare come consulente di Mario Schimberni che gli aveva chiesto se fosse stata praticabile una politica monetaria diversa da quella voluta dai vertici della Banca Centrale di allora: e Galloni non solo aveva mostrato tale possibilità – suscitando le ire dei citati vertici – ma aveva, nella stessa sede, messo in guardia dall’abbandonare acriticamente i fondi pensione ai facili rendimenti delle obbligazioni come se non si trattasse di fenomeni ciclici, ricorrenti, caratterizzati da continui boom e cadute (The Economist, Sviluppo dei mercati dei capitali. La sfida dei fondi pensione, special report 1986);

nella seconda parte degli anni ‘80, l’Italia fece parte dello SME (sistema monetario europeo) che, grazie ai cambi fissi, poteva consentire agli Stati più forti – come la Germania prima dell’unificazione – di rafforzarsi non rivalutando il cambio e, quindi, riducendo i tassi di interesse, con ciò rafforzando la propria produttività e l’occupazione; e, agli Stati deboli – come ad esempio l’Italia – di indebolirsi ulteriormente non potendo svalutare il cambio e, quindi, trovandosi costretti a far crescere i tassi di interesse per attirare investimenti finanziari dall’estero, così limitando la produzione e l’occupazione (era questa la critica di Caffè, Leon e Galloni).

Non ci sarà quindi da stupirsi se, qualche anno dopo, lo SME imploderà rovinosamente e l’economia internazionale rivedrà i propri meccanismi, abbandonando gli alti tassi di interesse (rendimenti obbligazioni) e tuffandosi nelle borse.

Ma torniamo al 1989, quando le previsioni dell’economista Galloni trovano un tragico riscontro e una parte della stampa si muove a suo favore: un articolo a firma Norma Rangeri (Il Manifesto) viene raccolto da vari altri titoli e “questo oscuro funzionario che aveva previsto le disastrose dinamiche del debito e della disoccupazione giovanile e che, per questo, si era dovuto allontanare dall’amministrazione…” riceve una qualche solidarietà da una classe dirigente dove ancora qualcuno spera di poter difendere gli interessi nazionali.

Insomma, l’Italia, nella gerarchia internazionale, è sottoposta agli interessi americani innanzitutto, e poi a quelli tedeschi.

Nel 1989 Giulio Andreotti, incaricato di formare il nuovo governo, scrive al giovane economista e gli propone di mettersi a disposizione del suo braccio destro, incaricato di studiare una revisione di quelle strategie di politica economica e monetaria che stavano portando il Paese alla rovina, Paolo Cirino Pomicino.

Lo stesso Galloni consiglia a quest’ultimo di accettare l’incarico di Ministro del Bilancio e ne diviene il principale consigliere.

Dopo l’estate del 1989, quindi, Galloni inizia a lavorare alla Relazione Previsionale e Programmatica per il 1990: con essa intendeva scardinare l’illogica e dannosa impostazione finanziaria della politica economica italiana fino a quel momento. Vengono organizzati convegni e conferenze; un Seminario alla Bocconi cui partecipa, oltre al Ministro Pomicino, anche Mario Monti (molto critico e preoccupato non tanto per le idee di Galloni, peraltro note perché vicine a quelle di Federico Caffè e Paolo Leon, quanto per il credito che egli sembrava acquisire presso alcuni ambienti politici e governativi democristiani, la cosiddetta sinistra sociale di Donat Cattin, la parte contraria a De Mita nella sinistra politica come Granelli e Bodrato e ora, addirittura, la componente andreottiana…);

Galloni compare come pericolo nazionale in articoli di prima pagina su Repubblica: ad esempio, quello di Massimo Riva.

In poco tempo si scatena una pressione fortissima sul Ministro da parte della Banca Centrale, della Fondazione Agnelli, della Confindustria e, infine, da parte – nientemeno – del cancelliere Helmut Kohl finché il Ministro del Tesoro, Guido Carli, chiede formalmente al collega la estromissione dell’economista non-traditore Galloni. Il Ministro Pomicino chiama il suo Consigliere (Capo della segreteria tecnica del Ministero del Bilancio) e, con molta onestà, lo informa della situazione.

Galloni lascia l’amministrazione finanziaria per la seconda volta, col grado di dirigente generale, e viene chiamato da Carlo Donat Cattin (Ministro del Lavoro in quello stesso Governo Andreotti) a ricoprire l’incarico di direttore dell’Osservatorio sul Mercato del lavoro. Ormai è il 1990 e i giochi sono fatti. Caffè è scomparso, Galloni costretto a ripiegare, l’Italia colonizzata, il PCI un lontano ricordo, la DC pronta al prossimo suicidio, le grandi banche privatizzate e la stessa Banca d’Italia non più pubblica, padrone del campo.

Continua? Certo, continua. La saga della frode finanziaria endogena della politica italiana sta continuando. L’ultimo grido è quello delle obbligazioni-truffa comperate da diversi enti pubblici italiani, perlopiù comuni, i cui sindaci, necessariamente, o sono incompetenti, o sono stati corrotti.

B – Sui contratti finanziari stipulati da autorità italiane per far guadagnare i banchieri USA e tedeschi a nostre spese, il nostro esperto finanziario dr Alessandro Govoni ha denunciato quanto segue alla magistratura inquirente italiana:

Il Tesoro dello Stato italiano , 900 enti locali italiani e numerose imprese pubbliche italiane hanno contratto derivati sul tasso con clausola killer banca vince se tasso cala e stanno perdendo centinaia di miliardi di euro dal 1992.

Si sono trovati a pagare oltre a interessi mediamente del 7%/8% sul prestito sottostante, anche un differenziale sui derivati di altrettanti 7%/8% ogni anno dal 1992, , in piu hanno già pagato decine di miliardi di euro di penali di estinzione anticipata (mark to market) per uscire anzitempo dai contratti derivati. Tutti questi soldi sono stati incassati da 21 banche d’affari straniere, che continueranno ad incassare sia i flussi periodici futuri del derivato ad ogni scadenza di rata del sottostante prestito fino al 2030 , che le penali di estinzione anticipata nel caso Tesoro , enti locali ed imprese pubbliche decidessero di uscire anzitempo dai contratti derivati.

Se però l’Italia uscisse dall’euro, non sarebbe più sottoposta alla regole della Banca Centrale Europea (BCE) il cui scopo, stabilito dallo Statuto BCE stesso, è quello di mantenere il tasso d’inflazione sotto il 2%.

Se l’Italia uscisse dall’euro, Il tasso d’inflazione per l’italia non sarebbe più calcolato dall ‘EUROSTAT (l’ ufficio statistiche della BCE) che fino ad ora in modo artificioso lo ha calmierato al ribasso, variando annualmente il peso dei beni energetici all'interno del paniere di spesa delle famiglie e azzerando già tre volte le basi Istat.

Uscendo l’Italia dall’euro , il tasso d’inflazione non sarà più vincolato ai calcoli artificiosi dell’Eurostat e sarà pertanto libero di attestarsi sui suoi valori reali , tra il 4% ed il 5% annuo.

È necessario allora conoscere come le entità monetarie costruiscono i tassi in Europa dal 1992.

Il tasso d’inflazione più uno spread del 50% determina il TUR: se il tasso d’inflazione è il 4%, il TUR è il 6%. Prima, dal 1992 al 1998, il tasso d’inflazione più lo spread del 50% determinava il tasso ufficiale di sconto (TUS) . TUS e TUR sono la stessa cosa, il TUS ha cambiato solo nome dal 1998 in TUR.

IL TUS era il tasso a cui la banca centrale nazionale (Banca d’Italia) ha prestato dal 1992 al 1998 i soldi alle altre banche.

Il TUR è il tasso al quale la BCE dal 1998 presta i soldi alle banche area euro.

Il TUR più uno spread determina l’Euribor che è il tasso al quale le banche commerciali si prestano i soldi tra di loro.

L’Euribor più uno spread determina il tasso nominale che è il tasso a cui le banche commerciali prestano i soldi a famiglie, imprese, enti locali italiani.

Il tasso nominale è il tasso a cui le banche hanno piazzato derivati sul tasso alla ignara clientela italiana (al Tesoro dello Stato italiano , ai 900 enti locali italiani, a 100 mila tra imprese pubbliche e private italiane).

Non dimentichiamo che dal 1992, precisamente dal 7 Febbraio 1992 (legge n. 82), il tasso ufficiale di sconto (TUR) è variato in Italia dal Governatore di Bankitalia che lo ha variato di sua mano e di sua autonoma iniziativa sempre al ribasso portandolo dal 15% di settembre 1992 allo 0,05% di oggi. Sappiamo ora da maggio 2014 che gli azionisti occulti di Bankitalia spa sono una decina di hedge fund anglo americani e caucasici che controllano matematicamente al voto Bankitalia Spa (265 voti su 529) si presume sin dal 1992.

Le 21 banche d’affari straniere risultano partecipate con quote diverse sempre dalla stessa decina di hedge fund speculatori anglo- americani e caucasici di cui sopra.

Uscendo l’italia dall’euro, il tasso sui derivati, non essendo il tasso d’inflazione più ancorato all’obbligo statutario della BCE di mantenerlo NOMINALMENTE (artificiosamente) sotto il 2%, inizierà pertanto a crescere, portando lo Stato italiano a vincere in tutti i centinaia di miliardi di euro di derivati sul tasso con clausola banca vince se tasso cala.

Il tasso nominale dei derivati si attesterà subito tra il 9% ed il 10%: le 21 banche d’affari straniere inizierebbero subito a perdere in quanto nei contratti derivati è fissato un CAP solitamente del 4% ossia un tasso oltre il quale le 21 banche d’affari straniere inizierebbero a pagare lo Stato italiano risultando esse ora perdenti.

Lo Stato italiano, una volta uscito dall'euro, inizierebbe pertanto ad incassare dalle 21 banche d’affari straniere un differenziale di tasso del (10% meno 4% = 6%) del 6% su circa 400 miliardi di euro di nozionale, ossia lo Stato italiano inizierebbe ad incassare dalle 21 banche d’affari straniere (400 miliardi per il 6%) 24 miliardi di euro l’anno fino al 2030, più le penali di estinzione anticipata se le 21 banche d’affari straniere volessero loro a questo punto uscire anzitempo dai contratti derivati, penali (mark to market) che le 21 banche d’affari dovrebbero pagare allo Stato italiano per uscire anzitempo dai contratti derivati e quantificabili ad oggi in non meno di aggiuntivi 200 miliardi di euro.

L’altra ragione per cui è vitale per l’Italia uscire dall’euro è la stessa che ha spinto il Regno Unito ad uscire dalla parità con l’euro.

Ciò che i giornali mainstream non dicono è che il Regno Unito ha avuto un enorme beneficio con la BREXIT: la sterlina si sta rapidamente svalutando e le 100 società multinazionali con sede a Londra quotate all’indice di Londra “FTSE 100” stanno esportando sempre più. Esse rappresentano la quasi totalità del PIL del Regno Unito.

L’effetto sarebbe identico per l’Italia, che adottando la lira potrebbe immediatamente svalutarla rispetto all’euro e così verrebbe dato un enorme slancio alle esportazioni italiane.

Il terzo motivo è che uscendo dall’euro le quote capitali incassate dalle banche dei mutui creati in Italia con un click elettronico dal 1992, potrebbero essere tassate dallo Stato italiano in capo agli hedge fund azionisti occulti delle maggiori banche italiane. Essendo circa 1700 miliardi di euro i mutui creati con click elettronico in Italia dal 1992, lo Stato italiano potrebbe tassare la decina di hedge fund anglo-americani e caucasici, azionisti occulti delle maggiori banche italiane, del 32% tra IRES ed Irap ossia lo Stato Italiano potrebbe tassare questi hedge fund che ora con vendite allo scoperto si stanno mangiando le banche italiane stesse, potrebbe tassarli per 1700 miliardi di euro per il 32%, potrebbe, uscendo dall’euro, far pagare loro tasse per circa 400 miliardi di euro.

Non saranno questi i motivi per cui Stati Uniti e Regno Unito stanno spingendo perché gli Stati dell’area euro sottoscrivano il TTIP, forse per sottrarre alla Magistratura italiana, con la conseguente creazione di Tribunali internazionali privati, la competenza in procedure civili e penali in tema di derivati sul tasso con clausola killer banca vince se tasso cala ed in tema di ipotizzata elusione fiscale delle quote capitali insita quest’ultima nella illegittima creazione elettronica dei mutui, perpetrata in Italia dal 1992?

Non saranno forse questi i motivi per cui per nessun motivo al mondo Stati Uniti, Regno Unito e Germania vorrebbero che l’Italia uscisse dall’euro?

Non dimentichiamo che gran parte dei derivati sul tasso con clausola killer banca vince se tasso cala li hanno piazzati in Italia Deutsche Bank, Morgan Stanley, Merryl Linch, Barclays… che quindi se l’Italia uscisse dall’euro, inizierebbero a perdere centinaia di miliardi di euro.

Ma se dovesse accadere, se dovesse accadere che l’Italia uscisse dall’euro, queste banche d’affari troverebbero il modo per estinguere i contratti derivati per non pagare alcunché allo Stato italiano. La Magistratura italiana allora potrebbe intervenire per obbligare le banche d’affari straniere a mantenere in vita i contratti visto che ora sarebbe lo Stato italiano, usciti dall’euro, che inizierebbe a guadagnare.

Sarebbe forse questo il motivo per cui Stati Uniti, Regno Unito e Germania premono che il TTIP venga approvato: per togliere alla Magistratura italiana ogni competenza in tema di derivati.

Procure come quella di Trani, di Milano, …. che stanno indagando in tema di derivati sono sempre più scomode e potrebbero risultarlo ancora di più se l’Italia uscisse dall’euro.

Dal materiare reperito sul web in tema di indagini condotte dalla Procura, secondo l’Audizione della commissario dott.ssa Scozzese nel 2015 e secondo la relazione alla Camera nel 2014 del Commissario Straordinario dr Varazzani, si rileva che nel 2002 inspiegabilmente il Comune di Roma ha chiuso dei contratti derivati “buoni”, derivati in cui ossia il Comune di Roma già stava guadagnando ed avrebbe continuato a guadagnare anche in futuro dal differenziale fisso-variabile, essendo derivati del tipo “banca perde se tasso cala”. Il tasso ufficiale di sconto (denominato anche tasso di rifinanziamento -tasso a cui la banca centrale presta i soldi alle banche commerciali-tasso a cui i derivati sono legati) ha continuato a scendere dal 2001, dal 4,75% ad oggi che è lo 0,05%.

Poiché l’Euribor è dato dal tasso di rifinanziamento più il 50%, oggi il Comune di Roma vincerebbe circa il 7,5% se avesse mantenuto in vita quei contratti derivati cd buoni che gli avrebbero permesso anzi di guadagnare circa un 2% rispetto al tasso del 5,345% che paga sul BOND da 1,4 miliardi di euro emesso nel 2003.

Inspiegabilmente il Comune di Roma estingue nel 2002 questi derivati cd buoni per stipulare nel 2003 n. 9 derivati di senso opposto ossia con clausola-killer banca vince se tasso cala.

Inspiegabilmente ma non troppo inspiegabilmente, se non si sapesse a seguito di rilievi eseguiti nel Maggio del 2014 (già posti all’attenzione di alcune Procure) che il tasso è manipolato a comando dagli azionisti occulti di Bankitalia Spa che sono gli stessi identici soggetti che hanno piazzato i derivati al Comune di Roma e ad altri 900 enti locali italiani e al Tesoro dello Stato. Azionisti occulti che sono interposte persone fisiche in realtà studi legali (Cardarelli Angelo in Unicredit e Trevisan Giulio in Intesa) che rappresentano 1991 banche straniere in realtà concentrate in una decina di hedge fund anglo-americani e caucasici (vanguard, state street, northern trust, blackrock, black stone, fidelity, jp Morgan, Bnp paribas,..).

La perdita subita dal Comune di Roma nel periodo 2003-2007 sui 9 derivati del tipo banca vince se tasso cala è stata devastante sia in termine di flussi pagati dal Comune nel periodo 2003-2007 che di mark to market pagati dal Comune di Roma per uscire anzi tempo dai contratti derivati.

Nel 2003 i nove contratti derivati prevedono un up-front complessivo di 1,4 miliardi di euro ossia il Comune riceve subito complessivamente 1,4 mld di euro con cui estingue mutui preesistenti per altrettanti 1,4 mld di euro. Per restituire questo prestito iniziale complessivo, il Comune è costretto a emettere nel 2003 un bond da 1,4 mld a tasso fisso con scadenza nel 2033 poi allungato nella scadenza fino al 2048. I nove contratti derivati sono andati ad estinguere con l’up front mutui a tasso fisso, per cui tutte e nove i contratti derivati sono nulli in quanto prevedono tutti una clausola di trasformazione del tasso da fisso e variabile, sono nulli in quanto il tasso del sottostante (i mutui) era già fisso, non necessitava pertanto contrarre derivati. È noto che lo scopo del derivato deve essere soltanto quello di trasformare un tasso variabile in tasso fisso per avere certezza di costo, ma se il tasso è già fisso ovviamente non bisogna trasformarlo in variabile perché altrimenti si espone il Comune a un alea che è impedita sia dallo statuto comunale che dalla normativa.

La giurisprudenza è univoca nell’avere statuito che il contratto derivato sia nullo se il sottostante mutuo è già a tasso fisso ed il contratto derivato prevede invece una clausola che trasforma il tasso fisso del sottostante mutuo in variabile, creando un alea che all’ente locale è impedita sia dallo Statuto comunale che dalla normativa che prevede che il Comune possa stipulare contratti che controllano il debito e non che lo sottopongano a un alea data da un tasso trasformato in tasso variabile e a un alea data dal pagamento a una certa data futura anche di un mark to market che è un sorta di penale di estinzione anticipata derivante dall’attualizzazione dei flussi futuri.

La mossa del Comune di trasformare il tasso fisso in tasso variabile sarebbe stata comprensibile se il Comune pagando sui mutui un tasso fisso del 5,3% e sperando in una diminuzione futura dei tassi, avesse voluto usufruire di un eventuale ribasso dei tassi e pertanto avesse deciso per usufruire di questo ipotetico ribasso futuro dei tassi, di trasformare il tasso fisso del mutuo in tasso variabile. E la scelta del Comune di Roma in effetti si sarebbe dimostrata vincente se i contratti derivati dal comune sottoscritti non contenessero una clausola cd killer che impedisce al Comune di vincere in caso di ribasso dei tassi, clausola killer banca vince che tasso cala che invece fa vincere la banca e pertanto contestualmente fa perdere il Comune che si trova oggi a pagare ad ogni scadenza rata dei mutuo oltre alla quota interessi del mutuo al tasso fisso del 5,3% anche un differenziale tasso fisso-variabile del 5,2% (essendo il TUR oggi anno 2016 lo 0,05%) per un totale che paga oggi il Comune del 10,5%.

Il CIty Manager se avesse voluto fare gli interessi del Comune di Roma avrebbe dovuto semplicemente nel 2003 estinguere i mutui a tasso fisso del 5,3% e contrarre NUOVI MUTUI a tasso variabile. Oggi il Comune di Roma si troverebbe a pagare un tasso variabile inferiore al’1% e nessuna penale di estinzione anticipata che oggi il Comune deve invece pagare in aggiunta o ha già pagato in aggiunta per uscire anzitempo dai contratti derivati.

Ma non è finita. Il Comune fa di più. Il bond avrebbe dovuto essere rimborsato a scadenza nel 2048 ed il Comune avrebbe dovuto al massimo pagare gli interessi dal 2003 al 2048. Invece il Comune fa di più, anche sul bond contrae quattro derivati sul tasso con clausola killer del tipo banca vince se tasso cala. Anche questi quattro derivati sono nulli in quanto essi prevedono la trasformazione del tasso fisso del BOND sottostante in tasso variabile, ma il tasso del sottostante (il bond) è già fisso, non c’era bisogno di trasformarlo in variabile.

Anche i quattro derivati sui bond hanno pertanto generato una perdita aggiuntiva in termini di flussi negativi pagati dal Comune di Roma dal 2003 e mark to market pagato per uscire nel 2011 dai contratti derivati sul bond, perdita che si è aggiunta agli interessi al tasso fisso pagati sul bond.

Ma non è finita qui. Il Comune nel piano di rimborso del BOND che avrebbe dovuto prevedere il pagamento di quote di interesse periodiche ed il rimborso del capitale in unica scadenza nel 2048, decide di restituire anche delle quote capitali periodiche che pero confluiscono in un fondo di proprietà della banca, soldi del Comune quindi che la banca investe, così sottoponendo il Comune di Roma ad un’altra alea, ossia che i denari del fondo siano mal investiti dalla banca, col rischio pertanto che nel 2048 il capitale accumulatosi nel fondo non sia sufficiente per restituire i 1,4 miliardi di quota capitale del bond nel 2048.

Tutta l’operazione in derivati contratta dal Comune di Roma appare estremamente truffaldina ed ha provocato un grave dissesto alla casse di Roma ad esclusivo vantaggio delle banche straniere che hanno confezionato queste trappole infernali, dove il Comune di Roma ha avuto dal 2003 zero possibilità di vincere nella scommessa insita nei 13 derivati sottoscritti.

In allegato copia del derivato sul bond da 1,4 miliardi di euro, da cui, è auto-evidente e lo sarebbe anche per un alunno delle scuole elementari essendo i segni di inferiore (<) e superiore(>) già parte del suo bagaglio conoscitivo, come il Comune di Roma paghi e pertanto abbia pagato sempre sul derivato, sia quando ossia il tasso è inferiore ed è stato inferiore al tasso definito top side (C. di Roma paga se Euribor < top side), sia quando è superiore o uguale al tasso top side ((C. di Roma paga se Euribor > = top side), ossia il Comune di Roma con questo contratto derivato era destinato già alla stipula a pagare sempre, nel 100% dei casi, ZERO possibilità già alla stipula di vincere la scommessa insita nel contratto derivato, vedendosi pertanto Il Comune di Roma addebitare sul proprio conto corrente oltre agli interessi sul bond, anche i flussi sul derivato, oltre che Il Comune vedersi addebitare sul proprio conto corrente i mark to market pagati quando il Comune è uscito anzitempo dai quattro contratti derivati stipulati sui bond.

Nell’audizione della d.ssa Scozzese si rileva che nel periodo 2010-2015 alla voce “Debito finanziario per quote interessi” sono iscritti 32 miliardi (31,94 mld) di euro, con una media di circa 5,5 miliardi di euro di interessi addebitati al Comune di Roma per anno dal 2010 al 2015. Si presume che in questa voce sia compresa anche la perdita subita dal Comune di Roma in derivati. Non sono compresi i mark to market che il Comune deve pagare sui due contratti derivati rimasti ancora aperti e che se fosse uscito dai codesti contratti nel 2015 sarebbero ammontati a 32 milioni di euro che il Comune avrebbe ossia dovuto pagare alla banca, in aggiunta a quanto già pagato in termini di flussi periodici ed in termini di commissioni all’advisor ossia alla banca stessa che ha confezionato il derivato.

Nell’audizione della d.ssa Scozzese non viene fatta menzione alcuna degli interessi addebitati al Comune di Roma nel periodo dal 2003 al 2009. periodo in cui i derivati hanno prodotto le maggiori perdite. Un mistero anche per il commissario in tutta evidenza (allegato).

Nella Relazione e nell’audizione non viene effettuata menzione alcuna sulla “bontà” dei derivati sottoscritti dal Comune di Roma, sul grado di loro convenienza economica per il Comune di Roma del tipo dal presente scritto espressa, nessun giudizio di adeguatezza di tali strumenti alle esigenze statutarie del Comune, nessun giudizio sul rispetto della normativa degli enti locali (TUEL), nessun giudizio sul rispetto della Legge Tremonti del 2001.

La L. Tremonti n. 448/2001 imponeva la stipula al massimo di swap con rimborso unico alla scadenza che è uno schema tipico dei derivati in valuta (finanziamenti piazzati all’ignara clientela in marchi tedeschi nel 1992, in yen giapponesi nel 2008, in franchi svizzeri nel 2015 , ossia finanziamenti nella nuova moneta rifugio destinata ad apprezzarsi e pertanto ad arrecare un danno grave al mutuatario nel successivo swap nella valuta nel giorno del rimborso unico a scadenza) e non dei derivati sul tasso (IRS) che invece prevedono uno swap ad ogni variazione periodica di tasso.

Il Comune di Roma ha contratto dal 2001 solo IRS (Interest Rate Swap) ossia solo derivati sul tasso contravvenendo al disposto della L. Tremonti (L. 448 del 2001 co. 1 e 2: “Gli enti di cui al comma 1 possono emettere titoli obbligazionari e contrarre mutui con rimborso del capitale in unica soluzione alla scadenza, previa costituzione, al momento dell’emissione o dell’accensione, di un fondo di ammortamento del debito, o previa conclusione di swap per l’ammortamento del debito …”). Lo swap deve essere aderente al sottostante (titoli obbligazionari e mutui con rimborso del capitale in unica soluzione alla scadenza), anche lo swap avrebbe ossia dovuto pertanto prevedere, secondo il disposto della L. Tremonti, un rimborso unico alla scadenza, lo schema contrattuale tipico quindi dei derivati in valuta o non degli IRS, diversamente il contratto derivato è nullo.

Per la relazione il Commissario Straordinario ha percepito una parcella di 11 milioni di euro, pagata dal Comune.

Così denuncia Govoni. E poi ci dicono che la colpa del malandare italiano è degli evasori fiscali…

db/marco_della_luna_appendice.txt · Ultima modifica: 05/10/2020 09:28 da @Staff R.