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Sto per dire qualcosa di estremamente divisivo...

Nicolò Govoni Sto per dire qualcosa di estremamente divisivo e so che farò incazzare parecchia gente stanotte, ma lo faccio comunque: il settore della cooperazione internazionale fa schifo e va smantellato e ricostruito COMPLETAMENTE. Ho trovato più onestà tra le multinazionali che tra le ONG.

L’ho detto e non me lo rimangio. E prima che mi saltiate alla giugulare, sono quasi 10 anni che opero nel settore e, come Direttore Esecutivo di un’organizzazione presente in svariati Paesi e avente rapporti con TUTTI i grandi marchi della cooperazione, sono arrivato a questa CERTEZZA dopo tanti, tanti tentativi e l’illusione iniziale, come la maggior parte di noi speranzosi, che il no-profit fosse davvero il mondo dei “buoni”. Mi sbagliavo terribilmente e, proprio perché ne faccio parte, ho la responsabilità morale di dire la verità.

Quelli che seguono non sono meri esempi, sono i pilastri fondamentali della mia denuncia, evinti dopo anni di lavoro sul campo e a livello istituzionale. NON per i deboli di stomaco!

1. QUALITÀ. Il livello della cooperazione internazionale è generalmente infimo. Parlo della qualità dei servizi. Parlo della qualità delle strutture amministrative. Ma soprattutto, parlo della qualità dei cosiddetti “professionisti” del settore. Qui il buonismo è dilagante e, dato che tanto è “carità”, ci si fa sempre andare bene tutto, anche le briciole. Ovviamente solo a spese delle persone che si millanta di “aiutare”. Non ci credi? Esempi pratici: 1. Fare “educazione” nella cooperazione significa 9 volte su 10 scuole di lamiera, insegnanti impreparati, percorsi educativi senza sbocchi, mentre i dirigenti a Roma bevono champagne. 2. Scarsissima rendicontazione e trasparenza in struttura. Tante organizzazioni sono dei carrozzoni costosi, obsoleti e rallentati da una burocrazia fasulla, volta solamente a nascondere… 3. Tutta l’incompetenza di “esperti” che non sopravvivrebbero un mese nel mondo dell’industria, ma che nel no-profit fanno carriera. Perché i poveri, i rifugiati e gli ammalati, per loro fortuna, non si possono lamentare. E quindi va bene così.

2. MERITOCRAZIA. I “professionisti” del settore prendono spesso salari da capogiro. E questo, di per sé, non è neanche il vero problema. Sono totalmente a favore di dare anche 20.000€ al mese a qualcuno che sta salvando milioni di vite umane. Se vogliamo davvero costruire un mondo migliore, dobbiamo riconoscere agli eroi ciò che meritano. Peccato che nella cooperazione si prendano anche (esempio pratico) 12.000€ al mese per fare immissione dei dati - sì, il semplice database - dalle 9 di mattina alle 5 di pomeriggio, weekend esclusi, con villa pagata dall’organizzazione, mentre la gente muore nelle baraccopoli due strade più in là. E questo non è qualunquismo, sono letteralmente i colleghi del settore che conosciamo personalmente. Il problema è che ci sono così tanti soldi e così poca trasparenza in questo settore che la mediocrità viene scambiata per normalità - sempre a scapito di chi si dovrebbe “aiutare”, naturalmente.

3. EFFICIENZA. E qui si perdono davvero le staffe. Perché qui si parla di come i fondi vengono sperperati. Esempi: 1. Spesso e volentieri, nei bilanci di missione, fino al 20% del budget sotto la voce “facilitazione” nasconde gli oneri di corruzione. Ebbene sì, le tangenti. Le mazzette. A livello istituzionale, nel Sud Globale, la cooperazione è da sempre uno dei promotori principali della cultura delle bustarelle. 2. Spessissimo si definiscono progetti a tavolino, dall’alto, senza tenere in considerazione i bisogni delle comunità, con il solo scopo di compiacere i finanziatori. Il risultato è sempre il fallimento dei progetti in questione - che nel migliore dei casi si rivelano inutili, e nel peggiore addirittura dannosi. 3. E per finire, i costi di realizzazione di suddetti progetti sono quasi sempre inflazionati dalla corruzione interna, il famigerato “magna magna” generale. Ecco come la cooperazione sperpera i fondi. Ma tutto questo si sapeva già, no? La corruzione è ben nota nel settore. Quindi dov’è la tanto decantata denuncia? Eccola QUI: il problema NON è tanto il magna magna generale quanto la quasi totale assenza di CONTROLLO. Perché la vera crisi non è in basso, sul campo. La vera crisi è nel sistema. Ultimo esempio pratico? Nel mondo aziendale gli investitori controllano con estrema attenzione la produzione poiché è dalla qualità finale del prodotto che deriva il loro profitto. Nel no-profit non funziona così. Da noi la qualità finale è irrilevante perché: 1. L’equivalente dell’investitore - il “nostro” finanziatore, il donatore istituzionale, il governo - non ha un vero interesse nel verificare la “produzione” - ovvero il lavoro umanitario - perché da esso non deriva alcun profitto. Il profitto nel no-profit è immediato, avviene nel momento esatto della donazione: è il ritorno di immagine. 2. Ma quel che è peggio, l’equivalente del “consumatore” - ovvero la persona aiutata - non ha la possibilità di lamentarsi, di cambiare fornitore, perché non ha alternative, deve solamente subire il servizio.

4. INFORMAZIONE. Dalla pornografia della povertà alla banalizzazione della realtà, dalla demagogia al populismo per culminare proprio con la strumentalizzazione mediatica, la cooperazione internazionale non è solo rea di fare scarsa informazione, ma è soprattutto colpevole di diseducare ATTIVAMENTE il pubblico su alcuni dei temi più cruciali, sfumati e ramificati del Pianeta: i diritti umani. Esempi pratici: 1. Nel 2020 il WFP ha vinto il Nobel per la Pace, ma ad oggi la sua strategia marketing abusa ancora di immagini lesive della dignità individuale quali i bambini ricoperti di mosche, le madri che si strappano le vesti, i neonati scheletrici, senza mai uno straccio di approfondimento sulle cause alla radice di ciò che divulga. 2. UNICEF usa ancora slogan quali “Salva i bambini malnutriti” che, oltre ad alimentare il complesso del salvatore bianco, dipingono la povertà come inevitabile, quasi endemica nel Sud Globale, sottraendosi SEMPRE all’entrare nel merito delle cause geopolitiche, coloniali e neoimperialistiche che causano i VERI problemi alla base.

5. POLITICA. Lo vediamo direttamente in Siria, in Congo, in Grecia, e indirettamente in Etiopia, in Sudan, in Yemen, in Afghanistan: troppo spesso l’aiuto umanitario viene utilizzato come uno strumento di politica estera, di lobby, di ingerenza internazionale. Alcune volte viene strumentalizzato per creare avamposti economici nei Paesi “aiutati” a favore dei Paesi “aiutanti”. Altre volte, invece, diventa addirittura un’arma di guerra. Esempi pratici: 1. In Etiopia il governo raziona gli aiuti delle organizzazioni umanitarie per affamare il Tigray e influenzare il conflitto. Lo stesso accade in Sud Sudan. Ecco perché la cooperazione internazionale dovrebbe essere sempre e totalmente INDIPENDENTE. 2. USAID è stata più volte accusata della politicizzazione del proprio aiuto al fine di creare corridoi commerciali tra il Paese “aiutato” e gli Stati Uniti. 3. Due giorni fa, come da previsione, in sede ONU la Russia ha imposto un veto sull’estensione degli aiuti umanitari nel nord-ovest della Siria, mettendo a repentaglio la vita di 2,4 milioni di persone. Viene da chiederselo: le Nazioni Unite sono davvero una realtà umanitaria o solo politica?

Posso già sentire le grida della folla inferocita. Ma certo che avete ragione, non si deve generalizzare e fare di tutta l’erba un fascio e bla, bla, bla - mettete giù i forconi. Ci sono sicuramente diverse realtà umanitarie che fanno un ottimo lavoro e lo fanno con etica, passione e responsabilità sociale. Medici Senza Frontiere è la mia preferita. Ma non sto parlando di singole realtà qui. Sto parlando della media del settore. Sto parlando del minimo comune denominatore della cooperazione internazionale - e questo è il ribrezzo. Uccidete pure il messaggero, se vi fa sentire meglio. Non mi importa. I vostri “angeli” hanno comunque le ali di plastica. E, che vi piaccia o no, il rifiuto della realtà non cambia la realtà delle cose.

E, già che ci sono, fatemi dire una cosa ancor più audace, nel caso i potenti da due soldi che mi leggono non si fossero già inalberati abbastanza. Se non fosse per Still I Rise - che ha fatto comunque i suoi errori e ha i suoi problemi da risolvere - non lavorerei MAI nell’umanitario. Preferirei lavorare per Amazon - sì, Amazon - dove almeno sarei onesto sulla mia mancanza di etica, la mia avidità e la mia sete di potere, anziché fingere bontà ma pensare comunque solo ai soldi, alla carriera e allo status. Il settore dell’aiuto umanitario - e così tanti degli individui che lo compongono - è una delle delusioni più grandi della mia vita.

Ed è irreparabile.

Ecco. L’ho detto.

Adesso potete farmi fuori.

Extrapedia Autori
11 luglio 2022
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db/sto_per_dire.txt · Ultima modifica: 16/07/2022 18:31 da @Staff R.