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Transatlantic Trade & Investment Partnership (TTIP)

Cat. “Autori
Roberto Morini (fisico nucleare e filosofo)
03 maggio 2016

Molti sapranno di cosa si tratta e, chi non lo sapesse, lo apprenderà nel prosieguo. Tuttavia, il giro vizioso che ha fatto per essere imposto all’Europa, penso che sia sconosciuto a quasi tutti, a meno ché non si abbia una mente analitica in grado di abbracciare il filo sottile e, quasi invisibile, delle più ampie e, apparentemente contrastanti, situazioni.

Ora, vedo se riesco a fare quadrare questo cerchio ad ampio raggio, trovando anche la vostra approvazione.

Poniamo il caso che, all’America, dell’Ucraina e della Crimea non interessasse nulla e, tanto meno fosse interessata a ciò che stava facendo la Russia in queste zone. Ma che si sia presentata come un’occasione d’oro, da non lasciarsi sfuggire, per “piazzare” il proprio TTIP in Europa.

Come? Direte voi. Quale nesso potrebbe esserci tra due fattori così distanti tra loro?

Applicando ferree sanzioni a una nazione come la Russia, era inevitabile che la stessa applicasse, a sua volta, delle contro-sanzioni che andassero a colpire tutti i Paesi (europei) aderenti al diktat imposto dagli States.

Tralasciando la più ampia sfera d’interessi del trattato, il settore che maggiormente ha risentito il contraccolpo di queste contro-sanzioni, a livello europeo, è, guarda caso, proprio quello agroalimentare, che ha subito un drastico calo delle esportazioni e conseguenti perdite per milioni di euro. Un apparente “suicidio” sistemico, al quale s’è aggiunta, per quanto riguarda l’Italia, l’inesplicabile (si fa per non dire altro) apertura a mercati esteri che nulla possono garantire in termini di: qualità e trattamenti fitosanitari, o di eticità nei rapporti di lavoro, danneggiando viepiù i nostri produttori, vincolati da regolamentazioni ferree e tassazioni elevate (Il TTIP ridurrebbe i dazi doganali e rimuoverebbe una vasta gamma di settori: le differenze in regolamenti tecnici, norme e procedure di omologazione, standard applicati ai prodotti, regole sanitarie e fitosanitarie. Solo per fare un esempio: negli Usa, circa il 70% dei suini è trattato con la “ractopamina” – in pratica una droga passata sotto la definizione di “promotore della crescita” – che da noi è severamente vietata dalla direttiva 96/22/CE, perché danneggia il sistema endocrino umano. Quindi, non solo settori a rischio, ma anche consumatori!). Come vogliamo definirle queste disparità? Complicità nella distruzione sistemica del nostro Paese? Forse, detta così, l’interrogazione è ancora troppo blanda…

Con un settore già fiaccato e messo in ginocchio, l’entrata in vigore di questo “partenariato” (che obiettivamente è solo a senso unico), porterà gli agricoltori di tutta l’UE a confrontarsi con una maggiore concorrenza e, con prezzi più bassi da parte dei competitor Usa, schiacciandoli e, sbaragliandoli definitivamente. Così, il previsto contributo dell’agricoltura statunitense al proprio PIL, non aumenterebbe solo dell’1,9%, come previsto («Il TTIP aumenterà le importazioni dagli Stati Uniti, con un vantaggio per le grandi imprese americane fino a 4 miliardi di euro» [Beckman, J., Arita, S., Mitchell, L., & Burfisher, M. – 2015. “Agriculture in the Transatlantic Trade and Investment Partnership: Tariffs, Tariff-Rate Quotas, and Non-Tariff Measures”], ma creerà un vero e proprio monopolio, senza “sparare un colpo”. Tanto, i governi europei, con Bruxelles in testa, stanno facendo tutto da soli.

Vuoi mettere la differenza tra l’entrare in un mercato attivo e florido e in un altro semidistrutto? Ecco, perché Washington, per bocca di Obama (cercate di cogliere la sfumatura), insiste congiuntamente sugli stessi due inscindibili punti e, ordina all’Europa: «Accelerare l’approvazione del TTIP e continuare con le sanzioni contro la Russia!». E prestate bene attenzione: non è chiesto di valutare il trattato, ma di accelerarne l’approvazione. È un’imposizione “sine qua non” per cui, ad Hannover, sebbene investita da una colossale manifestazione anti TTIP, la Merkel s’è accordata con Obama per approvare e far approvare dagli europei il TTIP entro l’anno (2016).

Nessuna obiezione da parte della “Kaiser” Angela Merkel che, con la maggioranza dei tedeschi che vogliono la fine delle sanzioni anti-russe secondo tutti i sondaggi, non ha certamente alcun vantaggio, né economico né politico, da riscuotere per il suo servilismo.

Nessuna obiezione da parte di François Hollande, se non qualche piagnucolio dato lo stato di rivolta dei francesi e l’Assemblea Nazionale che ha appena votato una risoluzione per il sollevamento e, quindi l’interruzione, delle sanzioni economiche contro il Cremlino (ma, anche se il voto dell’Assemblea non è vincolante per l’Eliseo, Hollande dovrà necessariamente tenerne conto).

Nessuna obiezione da parte di Matteo “Buffone” Renzi (buffone ormai è diventato il suo secondo nome. Sebbene il 22/02/2014 avesse affermato molto spavaldamente [attorniato da 20 guardie del corpo] che: «Non ho bisogno di camminare con la scorta. Anzi, la mia scorta sono i cittadini», si è preso lo stesso appellativo a Napoli, a Verona, a Pisa e, ora, anche nella sua Firenze, quello che non si è ancora preso, purtroppo, è un sacco di bastonate! Ma costui, che in altro articolo ho meglio definito: “grandissima testa di cazzo” agli ordini di un potere ben superiore di quello del presidente americano, è sulla buona strada per prenderle).

Comincia ad avere un senso logico quest’analisi?

Vediamo ora che cos’è realmente il TTIP. È un accordo commerciale in corso di negoziato dal 2013 tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America, che è detto inverosimilmente di “libero scambio”, anziché “accordo capestro” poiché, secondo la stessa Commissione europea, tra i contenuti del trattato di partnership commerciale, ci sarà l’introduzione di un arbitrato internazionale (denominato ISDS - “Investor-state dispute settlement”), che permetterà alle imprese (americane ovviamente) di intentare cause per «perdita di profitto» contro i governi dei Paesi europei, qualora questi portassero avanti legislazioni che potenzialmente possano mettere in discussione le aspettative di profitto (anche qui leggete con attenzione: “aspettative di profitto” non mancanza di profitti, magari dovuta a un management fuori target) delle stesse imprese.

In un’Inghilterra che, subito dopo la visita di Obama che ha ordinato agli inglesi di non uscire dall’Europa, il numero di quelli che voteranno il Brexit è diventato maggioranza, lo studio commissionato da David Cameron, alla London School of Economics sugli effetti del TTIP, sperando di trovarvi argomenti per la sua propaganda atlantista, dopo averlo esaminato è stato, dallo stesso Cameron, secretato.

L’istituto – che è una voce autorevolissima, una delle centrali dell’ortodossia liberale, ovviamente filo-governativa – punta il dito specificamente sulle predette camere arbitrali, i tribunali (privati e segreti) istituiti dal trattato, davanti alle quali le multinazionali americane possono trascinare gli Stati europei, protestando che certe leggi ostacolano il loro business, e quindi la libera concorrenza (link alla relazione completa) e… di precedenti, ove il trattato è già operativo, ce ne sono molti.

La trasmissione “Report” dedicò al TTIP la puntata del 19 ottobre 2014, durante la quale furono presentati molti dei fattori di criticità del trattato, non ultimo l’essere il suo contenuto parzialmente sconosciuto. Una critica metodologica al negoziato, infatti, è la supposta mancanza di trasparenza: i vari stadi di avanzamento dell’accordo non sono resi pubblici e sono difficilmente accessibili agli stessi europarlamentari che dovranno approvarlo (link).

Mentre in Francia, gli agricoltori, che sicuramente vedevano un nesso tra il TTIP e le imposte sanzioni contro la Russia, protestarono vivacemente, bloccando le principali autostrade e dando fuoco ai loro prodotti senza ottenere alcunché, perché Bruxelles continuò imperterrita, anche quando avrebbe potuto impedire la proroga delle stesse sanzioni al Cremlino, lo scorso dicembre, il Sud Italia si è rimboccato le maniche senza aspettare la campagna “Stop TTIP Italia”, promossa da “Fairwatch”, che si terrà a Roma (Concentramento Piazza della Repubblica) il 7 Maggio a partire dalle ore 14:00.

Capofila di questa intelligente rivoluzione pacifica, dopo la Sardegna con la proficua introduzione della sua moneta complementare (poi, dilagata con successo in altre Regioni), è ancora un’isola: la Sicilia.

Laddove il TTIP proibisce lo scambio di semi tra gli agricoltori, rendendo ardua la possibilità di conservare e tramandare quelli autoctoni, in Sicilia le antiche qualità di grano (“Timilia”, “Maiorca”, “Strazzavisazz”, ecc…) tornano a riempire i campi, ricostruiscono paesaggi, arricchiscono la biodiversità di un’agricoltura che da decenni ha ridotto a poche specie super selezionate il grano dell’isola (beneficiando la qualità a scapito della quantità). Ufficialmente risultano solo 500 ettari, ma c’è chi assicura che sono 3.000. I contadini che stanno passando al recupero delle sementi locali crescono di anno in anno, si associano, mettono in piedi filiere alimentari e fanno cultura, oltre che coltura (si veda l’Associazione “Simenza”, anzidetta “Cumpagnia siciliana sementi contadine” e si diffonda il messaggio – link).

È sempre la Sicilia a tracciare la nuova rotta che le altre Regioni dovrebbero seguire, proprio nel settore più penalizzato per quanto riguarda espressamente l’Italia: quello manifatturiero. L’export verso la Russia nel 2015 ha raggiunto, infatti, i 25 milioni di euro, registrando un +43% rispetto all’anno precedente (link). Un dato in controtendenza rispetto alla media nazionale, dove le vendite italiane verso la Federazione si sono ridotte del 25,2% (link). I dati, elaborati dall’Associazione “Conoscere Eurasia”, su base Istat, sono stati presentati il 22 Aprile a Catania, nell’ambito del’XVIII “Business Forum” italo-russo, organizzato dall’Associazione “Conoscere Eurasia”, “Roscongress” e dal “Forum Economico Internazionale” di San Pietroburgo. Questi dati dimostrano come, nel 2015, siano stati i settori dell’elettronica e dei macchinari da lavorazione a fare da traino all’export siciliano in Russia. Mentre questi ultimi hanno registrato un incremento delle vendite nella Federazione pari al 184%, il commercio di computer, apparecchi elettronici e ottici “Made in Sicily” ha ottenuto dal mercato russo un ricavo superiore ai 5,4 milioni di euro, contro i 66mila euro dell’anno precedente. Bene anche il complessivo del manifatturiero (a un soffio da quota 25milioni di export e in aumento del 45% sul 2014), e i mezzi di trasporto, con un tasso di crescita delle vendite in Russia del 443%.

Sergej Razov, ambasciatore della Federazione intervenuto al Forum, ha esortato gli italiani ad approfittare delle ulteriori occasioni offerte: turismo russo (link) che è diminuito del 40-50% e agrobusiness, attraverso i 29 progetti di collaborazione in materia di agroindustria, consegnati al ministro Martina, durante la sua ultima visita in Russia e, ancora in attesa di risposta.

Dice il proverbio: “Se vuoi che un lavoro sia ben fatto te lo devi fare da solo” ma, soprattutto, ciò che più conta è che… “si-può-fare!

Extrapedia Autori
a cura della Redazione di Extrapedia


db/transatlantic_trade_investment_partnership_ttip.txt · Ultima modifica: 30/08/2021 18:39 da @Staff R.