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Basta con 'sto Regeni!

Cat. “Autori
Roberto Morini (fisico nucleare e filosofo)
27 aprile 2016

Con tutto il doveroso rispetto per il dolore della famiglia, diciamo basta, anche in nome di codesto riguardo, a questa continua fiera dell’ipocrisia! Tanto, di Giulio Regeni, scomparso la sera del 25 Gennaio, palesemente non glie ne frega niente a nessuno.

Sull’onda mediatica che ritrae un governo, quello italiano, che fa la voce grossa con l’Egitto e si trincera dietro alla minacciata “dignità nazionale” («[…] si gioca la dignità del nostro Paese». Lo ha affermato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni) richiamando anche l’ambasciatore Maurizio Massari (10/04 – come primo passo, aggiungendo che la Farnesina sarebbe pronta a prendere altre misure: compreso anche il boicottaggio del turismo), da una parte e, dall’altra, si cala le brache, a torto o a ragione nei confronti dell’India, sul caso Girone e Latorre (i due “Marò”), viene da chiedersi cosa veramente si celi dietro a queste ambiguità.

Sul caso “Regeni” sono stati coinvolti sia l’Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea, Federica Mogherini sia e, soprattutto, il segretario di Stato Usa, John Kerry, con tanto di continui solleciti telefonici da parte del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Estendendo il possibile coinvolgimento all’ONU, alla Banca mondiale (che finanzia l’Egitto con un miliardo di euro l’anno), ad Amnesty International (che ha lanciato la campagna “Verità per Giulio Regeni“), ai quotidiani britannici: “The Guardian”, “The Economist” e, perfino, allo statunitense “New York Times” (che il 15/04, condannando il “vergognoso silenzio” della Francia, circa il caso “Regeni” dava per primo un chiaro indizio sul vero motivo di tanto chiasso: «È ora che altri Paesi riconsiderino le relazioni con l’Egitto, dove le violazioni dei diritti umani hanno raggiunto un picco…». Una presa di posizione e un tono entrambi famigliari, sentiti ogni qual volta si voleva predisporre “una nuova esportazione di democrazia”).

Che di Regeni non glie ne freghi niente a nessuno è palese. Proprio lunedì (25/04), per esempio, passando da Rovereto in Trentino, ho assistito a questo tipo di conferme (trasferite a quell’Italia abbruttita dalla provincialità imposta dai propri politici di riferimento e maltrattata da un’informazione colpevolmente di parte che, da tempo, ha smesso di “informare”, preferendo istruire, depistare, ammansire e rintuzzare gli istinti peggiori di una popolazione, verso la quale si rifiuta di dare gli strumenti e i dati per provare a capire e pensare con la propria testa): un complesso musicale formato da studenti, seguendo quel “Nessuno lo dimentichi” pronunciato dal presidente della Repubblica al Meeting nazionale delle scuole per la pace e, seguendo l’omologante campagna lanciata da Amnesty, con una cantante, in bilico su una pensilina senza protezioni e con alle spalle l’ormai arcinoto cartello “Verità per Giulio Regeni” ha cominciato a intonare “Bella ciao” (in origine, una storia di emigrazione, incisa nel 1919 negli Stati Uniti da un fisarmonicista tzigano-cristiano di origini russo-ebraiche, un certo Mishka Tziganoff, che appartiene alla cultura yiddish e che resta rinchiusa in una “prigionia politica” senza senso), con un ritmo incalzante, da “sbuffante locomotiva, lanciata in piena corsa”. Poi, con la stessa opacità di chi è oltremodo distaccato e demotivato, sia lei che il gruppo musicale, sono passati a tutt’altro, seguendo una scaletta, talmente eterogenea, da poter essere paragonata al catalogo della LIDL (…salumi, abbigliamento, bricolage…).

Che poi, l’incauto ragazzo, che forse voleva giocare a fare lo 007, oppure che sia stato sospettato di spionaggio sopravvalutando le sue qualità (da cui le numerose e, quanto mai inutili torture, evidenziate dall’autopsia, giacché, se avesse saputo rispondere alle domande rivoltegli, lo avrebbe sicuramente fatto rendendo inutile ogni sofferenza fisica), sia oggetto di mera strumentalizzazione è altrettanto palese.

In ultima analisi, la più sconcertante, ma non meno plausibile visti i tanti precedenti, potrebbe essere che sia stato scelto, come “vittima sacrificale” per creare, nell’opinione pubblica, i presupposti a sostegno di un qualsiasi intervento straniero pro “democrazia”.

Che, alla fin fine, si tratti di un complotto pure l’Egitto se n’è già reso conto. Anche la presentatrice televisiva egiziana, Rania Yassen, manifestamente angosciata, davanti agli schermi della tv egiziana “Al Hahath al Youm”, in merito alla vicenda Regeni, ha definito le pressioni internazionali “un complotto”: «Tutto questo interesse per il caso Regeni a livello internazionale, come nel Regno Unito e negli Stati Uniti, rappresenta una sola cosa: siamo davanti a un complotto… Lasciateci in pace!».

Il quadro, sul caso Regeni, ha assunto le sue vere tinte, mettendo a nudo una strumentalizzazione alla quale bisogna dire: “Basta!”. Mentre quello sui Marò resta ancora vago con la sola certezza che, a parte la superficialità con la quale è stata impostata la “Missione Atalanta” (in virtù del decreto-legge n. 107 del 12 luglio 2011, convertito nella legge n. 130 del 2 agosto 2011) serve da copertura (o forse da “merce di scambio” visto che la vicenda si trascina da più di quattro anni e la procedura arbitrale non dovrebbe concludersi prima del 2018) per qualcos’altro, dove tutti (Marò compresi) hanno il loro chiaro tornaconto.

Qualcuno si è mai chiesto, per esempio, a parte il totalmente diverso modo di confrontarsi, come mai, dopo mesi (dal 3 maggio 2013 al 24 aprile 2014) di inutili, ma quanto mai costose trattative, portate avanti da Steffan De Mistura (inviato speciale del governo italiano presso quello indiano per il caso dei due Marò), senza cavare il classico “ragno dal buco”, costui sia stato promosso ad altro e più importante incarico?

Perché, il 14 Marzo 2013 il governo indiano, come ritorsione verso l’Italia che non voleva rimandare indietro i due fucilieri (comunicazione del ministro degli Esteri, Giulio Terzi, che rassegnò le sue dimissioni dodici giorni dopo, in seguito al ripensamento del governo) limitò la libertà personale dell’ambasciatore italiano in India, Daniele Mancini, prendendo misure volte a impedirgli di lasciare il Paese? E, perché, il 18 marzo 2013, la Corte Suprema indiana decise di non riconoscere più l’immunità diplomatica all’ambasciatore, estendendo “fino a nuovo ordine” la limitazione impostagli?

Non c’era un’Ambasciata indiana in Italia per attivare la stessa limitazione, dato che l’India stava violando la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche?

Poi, per concludere, innocenti o colpevoli che siano (anche se pare che le armi impiegate, in seguito a prove balistiche, appartenessero ai sottocapi Andronico e Voglino), ammesso pure che non abbiano trascorso un solo giorno in cella e che abbiano avuto un trattamento di lusso “assicurandosi che il soggiorno dei Marò fosse il meno doloroso possibile” (come ricordava Carola Lorea su “China Files” il 23 febbraio 2013 – la pagina non esiste più - ndr), un’istruttoria potrà durare sei anni senza cadere in qualche prescrizione (così attuale in Italia per i nostri politici più volte inquisiti)?

Extrapedia Autori
a cura della Redazione di Extrapedia


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