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Che la rivoluzione abbia inizio! 3° parte

Cat. “Autori
Roberto Morini (fisico nucleare e filosofo)
20 maggio 2016

Se, il risultato, che tutti abbiamo davanti agli occhi, è l’inevitabile implosione non solo industriale, ma dell’intero apparato produttivo e, il governo, non ha nessuno strumento per combattere la recessione, dato che non solo la sovranità economica è stata ceduta, ma non sono state fatte “le riforme”, le sole che contano: razionalizzazioni e snellimenti che obbligano il settore pubblico a lavorare per la nazione, non contro di essa, come sanguisughe, facendole mancare le infrastrutture e perdere la competitività, accettando la “svalutazione interna” (taglio dei salari) imposta da Berlino e Bruxelles, è ora di cambiare le strategie.

È facile proclamare: «Se la UE non vi fa uscire dalla crisi, uscite dalla UE!», oppure che: «L’euro è un crimine contro l’umanità!». Il fatto è che l’Italia ha gli uomini sbagliati (per il suo popolo) nei posti giusti (per gli avvoltoi). E, a nulla serve un 48% di favorevoli all’Italexit, se nessuno pensa nemmeno d’indire un referendum, per tenere l’opportunità in serbo, come scrive Tilford, quale possibile arma vincente di un programma anti-euro da presentare alle prossime elezioni politiche. Non abbiamo abbastanza “ossigeno” per arrivarci e, l’apnea, sarebbe disastrosa. Oltretutto, di questo passo e, in brevissimo tempo, ci porteranno a scannarci l’un l’altro. È il quadro che rispecchia il nostro immediato futuro. Secondo i vecchi schemi, non ci sono più alternative.

Tutti guardano tutti, aspettando chi farà la prima mossa per osservare gli esiti di un eventuale “exit”. Finlandia, Svezia, Inghilterra, Portogallo, Spagna, Italia e Grecia manifestano apertamente la loro smania, spronate da recessioni divenute depressioni e, adesso, deflazioni fallimentari. E la Germania, che tuona via Bruxelles, con la Francia cointeressata che le fiammetta a fianco, è preoccupata (al pari della seconda) che le vengano meno gli strumenti (lo svenarsi degli altri Paesi) per mantenere in piedi il suo grande bluff economico. Ma la Germania può farlo, perché ha avuto, a differenza di tutti gli altri Stati, una Corte di Karlsruhe che ha riaffermato la sua sovranità nazionale. È l’unico Paese sovrano in un’Unione dove tutti gli altri hanno ceduto pezzi giganteschi della propria sovranità e sono incessantemente spinti a cederla completamente. Si determina un potere improprio ma imperioso, come dimostra il fatto che è Berlino a imporre i governi agli italiani; a sanzionare l’Ungheria perché non accetta gli immigrati islamici; a ridurre la Grecia alla fame rastrellando, con la scusa degli aiuti (da tutti gli Stati membri. Solo l’Italia ha speso 60 mld dal 2011 in “fondi salva Stati” per salvare banche tedesche e francesi in credito con quelle greche e spagnole), i 220 miliardi che le sue banche, spudoratamente speculatrici fino al midollo, le avevano prestato; ad aver portato l’Europa alla deflazione perché vuole l’euro come “sua” moneta, non come moneta comune.

«Mentre tutti gli altri stati membri dell’Unione Europea sono ugualmente soggetti alla legge dell’Unione, solo la Germania ha dichiarato che è il suo diritto nazionale a prevalere, in caso di conflitto tra i Trattati europei e la sua Costituzione (John Laugland, international affairs expert, autore di “The Tainted Source“: le origini a-democratiche dell’idea di Europa)». Un altro suo connazionale, l’ex sindaco di Londra Boris Johnson, che è favorevole al Brexit, ha paragonato l’Unione Europea a qualcosa che «Napoleone e Hitler hanno provato, ed è finita tragicamente: l’Ue è un tentativo di fare lo stesso con metodi diversi».

Sebbene definito “un ignorante” dal “Guardian”, le critiche di Johnson, secondo il quale “la UE è il Reich”, hanno solide radicazioni nella storia: dallo “Zollverein” prussiano del ‘700 («Il Reich di Bismarck non era uno stato nazionale, era un artificio, essendo essenzialmente una “grande Prussia”, caratterizzata dall’assenza di radici intellettuali» – Henry Kissinger), passando per il nazismo della prima metà del secolo scorso, fino ad arrivare all’attuale UE, nulla è cambiato nella volontà tedesca, se non la forma («Non c’è alternativa all’integrazione europea. Ogni altra scelta potrebbe far sì che le altre nazioni del continente, un giorno, si uniscano contro di noi» – Horst Koehler 06/02/1996). La stessa visione e le stesse motivazioni che appuntò Federico il Grande nel 1705, dando vita allo Zollverein (un’unione doganale). Per questo l’UE è destinata anch’essa, prima o poi, alla fine.

Questa parentesi era necessaria, così (forse) smetterete di leccare il culo a quei pezzenti di tedeschi, che guardano noi italiani dall’alto in basso con strafottente superiorità. Vengono, e buttano per aria interi negozi, solo per il gusto di farlo e, se ne vanno senza comprare nulla, andando poi in cerca, per ore, di un bar dove il cappuccino costi qualche centesimo in meno. Tutt’al più che di moneta “gonfiata” (il Marco) non ne hanno da portare.

A questo punto, visto e considerato che, pretendere d’uscire dall’UE e dall’euro per salvare quello che rimane della nostra economia, occorrerebbe farlo a muso duro e, in qualche modo costerebbe sangue, bisogna diventare fluidi. Bisogna fare come l’acqua la cui dinamica, scendendo dai monti a valle, la porta ad aggirare gli ostacoli che incontra lungo il suo cammino.

Con una disoccupazione reale, inquadrata dalla Commissione europea e, fissata attorno al 23-24% e migliaia di aziende che continuamente chiudono i battenti, quella che deve essere risolta, in primo luogo, è una situazione che pur viaggiando paradossalmente gomito a gomito, è a compartimenti stagni.

Il meridione segna una disoccupazione media, tra i giovani, che si avvicina al 60%, nonostante l’incremento demografico sia ai minimi storici da oltre 150 anni e, continui il massiccio esodo verso i Paesi del Nord Europa. In Sicilia, per esempio, nel primo trimestre del 2016 sono state chiuse oltre 23 mila aziende, secondo quanto dichiarato da Giovanni Felice, coordinatore regionale di “Confimprese Palermo”, al meeting regionale dell’associazione, tenutosi a Maggio: «La situazione delle imprese in Sicilia è allarmante dai problemi dell’accesso al credito a quello dei protesti, che in Sicilia ammontano a circa 67 milioni di euro tra assegni e cambiali, è davvero complesso riuscire a tenere bilanci aziendali in positivo, che determinano la chiusura delle aziende attraverso le procedure fallimentari».

Dello stesso avviso anche Guido D’Amico, presidente nazionale di “Confimprese”: «L’economia siciliana è cambiata nel corso dell’ultimo decennio ma qui in Sicilia i problemi per le imprese sono sempre gli stessi, infatti, siamo passati da una economia principalmente incentrata sul chimico a quella che incentra tutto sul turismo nelle sue varie sfaccettature. Per questo motivo è necessario che il tessuto produttivo e le istituzioni tornino a dialogare stabilendo programmi comuni di sviluppo».

Mentre sfruttare le risorse del territorio è in ogni caso un fattore vincente, a penalizzare un turismo già oltremodo penalizzato, arriva la nuova follia targata UE: la proposta di Bruxelles di una tassa da 50 euro, per tutti coloro che entrano in Europa sia per lavoro che per turismo, per finanziare il “migration compact”, ossia il piano per fermare i flussi migratori dal costo di 15 mld di euro, proposto dal governo Renzi, con investimenti nei Paesi africani. E dopo 300.000 ingressi che si fa? Come le accise sui carburanti con le quali finanziamo ancora la guerra in Etiopia del 1935?… qui, non faccio altri commenti, altrimenti esagererei…

Ma ecco un altro punto dolente, proprio nel discorso di D’Amico: “che le istituzioni tornino a dialogare“. Non hanno fatto altro da sempre! Parole, parole e niente fatti. E lo dimostrano tutte quelle imprese siciliane del manifatturiero che, da sole e in controtendenza, aprendosi al mercato russo, hanno registrato nel 2015, un + 43% di esportazioni rispetto all’anno precedente (un + 65,2% rispetto alle vendite italiane verso la Federazione).

Dov’erano i politici, i rappresentanti di “Confimprese”, i giornalisti e, soprattutto gl’imprenditori del turismo, quando ad aprile si svolgeva il XVIII Forum italo-russo, specialmente quando ha parlato l’ambasciatore Sergej Razov? «Nel 2015 – ha detto Razov – il turismo russo in Italia è diminuito del 40-50%, ma le potenzialità sono notevoli grazie anche ai 3-4 milioni di turisti che quest’anno, per i noti motivi, non soggiorneranno nelle destinazioni top di Turchia ed Egitto. L’Italia quindi ne deve approfittare, anche con un’offerta più adeguata alla domanda, in particolare con pacchetti più competitivi pensati per la middle-class russa».

E non si venga a dire che occorre stare alle regole (sanzioni) capricciose imposte dall’America e dai suoi amici:

  • quando: Antonio Fallico presidente di Banca Intesa Russia, dal palco del XVIII Business Forum italo-russo, tenutosi a Catania il 22 Aprile, ha dichiarato: «Da qui bisogna ripartire per aggirare l’ostacolo delle sanzioni e proseguire sulla strada della cooperazione».
  • Quando: il Parlamento francese, attraverso uno sforzo democratico, ha dimostrato la contrarietà della Francia alle sanzioni economiche contro la Russia. Thierry Mariani, deputato dell’UMP ed ex ministro dei Trasporti sotto Sarkozy, ha dichiarato a “RT France” (link): «La Francia è da sempre ritenuta la madre dei diritti umani, il Paese nel quale la volontà del popolo deve essere sempre rispettata. Così ora sto aspettando che la Francia accetti la volontà del Parlamento e chieda la revoca delle sanzioni nei prossimi colloqui. Ho visto il nostro ministro dell’Agricoltura alzarsi in piedi davanti ai nostri agricoltori e dire “dobbiamo abolire le sanzioni”. Ho visto il ministro delle Finanze ribadire la stessa cosa. Ma tutto ciò che fanno è dire semplicemente “noi non possiamo fare nulla, la colpa è dell’Europa».
  • Quando: Nathalie Tocci (vicedirettore dell’Istituto Affari Internazionali, editor della rivista “The International Spectator”, Special Advisor dell’Alto rappresentante Mogherini sulla nuova strategia di politica estera dell’Unione Europea), il 5 Maggio u.s. ha pubblicato un articolo sul quotidiano russo “RBTH” (la pagina non esiste più ndr): «I rapporti tra Mosca e Bruxelles sono e restano fortemente interdipendenti, nonostante le relazioni bilaterali abbiano subito, nell’ultimo periodo, un duro colpo. Ma il quadro attuale, se gestito bene, potrebbe offrire vantaggi reciproci».

Tra le demagogie da salotto e, gli on fait pour parler, dei politici fancazzisti (come li chiama appropriatamente Maurizio Blondet), qualcosa d’interessante è stato detto durante la conferenza stampa, tenutasi a Maggio, a Villa Boscogrande di Palermo. Giovanna Marano, assessore comunale di Palermo alle Attività Produttive, è andata a bersaglio sul secondo punto della mia parte precedente (Pretendere che i modelli, che hanno segnato il boom economico più di quarant’anni fa, siano ancora validi e che possano essere riciclati con successo all’infinito, è pura fantasia): «[…] è necessario che tutte le istituzioni, soprattutto quelle di ricerca e di studio, come l’Università degli Studi, riescano a unirsi e fare rete con le aziende così da creare un vero impulso virtuoso per l’intero settore produttivo».

Ma, al di là di queste indispensabili sinergie, resta sempre la volontà del singolo cittadino che può decidere se utilizzare, o meno, quella sovranità individuale che nessuno potrà mai portagli via.

Non serve a nulla cercare a tutti i costi di uscire dall’UE e dall’euro. L’UE e l’euro se ne andranno da soli, in silenzio e senza sforzi inutili, se si applicheranno poche, basilari, regole.

Allora, tanto per cominciare (in attesa di sviluppare altri punti):

  • Si continua ad ampliare quell’economia parallela già attiva che, senza alcuno sforzo, scalzerà da sola l’UE.
  • Si sviluppa sempre più quel mercato autonomo già esistente che, oltre a incrementare l’imprenditoria, implementerà l’occupazione.
  • Si sfruttano le monete complementari, che già funzionano e, non sono soggette a signoraggio, accedendo ai crediti che ora le banche negano.
  • Si smette di comprare le schifezze che vengono dall’estero, rilanciando la nostra produttività.

O questo, o il sangue… fate voi…

Extrapedia Autori
a cura della Redazione di Extrapedia


db/che_la_rivoluzione_abbia_inizio_3_parte.txt · Ultima modifica: 19/08/2021 19:18 da @Staff R.