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Che la rivoluzione abbia inizio! 2° parte

Cat. “Autori
Roberto Morini (fisico nucleare e filosofo)
19 maggio 2016

Restare vincolati agli stereotipi e alle tendenze, è roba da sfigati privi di personalità. Pretendere che i modelli, che hanno segnato il boom economico più di quarant’anni fa, siano ancora validi e che possano essere riciclati con successo all’infinito, è pura fantasia.

Confidare nella distruzione, in una guerra globale per esempio, come fanno molti economisti blasonati, per azzerare in un sol colpo gli errori della loro egoistica miopia, è pura follia.

Restare in attesa che i rimedi giungano dall’alto, è da coglioni.

Sperare che un qualsiasi candidato, a qualunque livello si proponga (locale, provinciale, regionale, nazionale, o sovrannazionale), lo faccia per appoggiare i vostri interessi (come promette in campagna elettorale), è da dementi.

Come opporsi a tutto questo che sembra un insieme di problematiche insormontabili? Partendo dalla base del benessere alla quale tutto si riconduce: dall’Economia!

Il fatto è che nessuno si rende effettivamente conto di chi costituisca il fulcro dell’economia. Non è il mercato, non sono le mega-corporazioni, non è la politica e via discorrendo: è il consumatore! È il privato cittadino, è il singolo individuo che compie le “sue” (quando lo sono ovviamente) scelte…

Ora, tenendo ben presente questa incommensurabile forza che ha tra le mani ogni singolo cittadino, vediamo il tempestoso panorama che conclamerà, a breve, la fine di una nazione: l’Italia.

1) – Un prossimo crollo del mercato azionario potrebbe non essere troppo lontano, aggravando così le condizioni finanziarie in cui il nostro Paese dovrebbe operare, anche alla luce dei continui “outflows corporate” e il pessimo stato di salute delle nostre banche. E, certamente, il rischio Brexit e il riesplodere della crisi greca, nonostante l’ottimismo da barzelletta dell’Eurogruppo del 9 Maggio u.s., non potranno che aggravare questa dinamica. Per questo, le aziende italiane scappano da bail-in e debito. Una fuga di capitali di 180 miliardi. A sottolinearlo è uno studio pubblicato da “Sober Look”, il quale parte da un assunto molto semplice e innegabile: «Nell’eurozona i bilanci netti stanno continuando ad ampliarsi proprio per i continui flussi di capitale che dalla periferia si muovono verso la Germania e gli altri Paesi cosiddetti “core”. A marzo di quest’anno, l’Italia ha riportato il suo peggior deficit netto rispetto a Target 2: – 263 miliardi di euro».
Magari, questo primo punto potrà non essere chiarissimo ai non addetti ai lavori, quindi vediamo di fare ancora più chiarezza attraverso le dichiarazioni di Ambrose Evans-Pritchard (international business editor del “Daily Telegraph”), pubblicate sul Telegraph l’11 Maggio scorso (link) dal titolo: “L’Italia deve scegliere tra l’Euro e la sua sopravvivenza economica“. E già il titolo dell’articolo è tutto un programma!

2) – Pritchard, tirando in ballo anche il governatore di Bankitalia, Visco, inquadra il problema: «L’Italia sta esaurendo il tempo a disposizione, dal punto di vista economico. Dopo sette anni di espansione globale, che si sta esaurendo, il paese è ancora bloccato nella deflazione del debito e in una crisi bancaria che non è in grado di affrontare dentro i vincoli paralizzanti dell’Unione Monetaria. “Abbiamo perso il nove percento del PIL dall’inizio della crisi, nonché un quarto della nostra produzione industriale“, ha detto Ignazio Visco, il triste governatore della Banca d’Italia. Ogni anno Roma prevede speranzosamente una discesa del rapporto tra debito pubblico e PIL, e ogni anno puntualmente questo aumenta. Il motivo è sempre lo stesso. Le condizioni deflattive impediscono al PIL nominale di crescere abbastanza da superare il debito (la “cura” Padoan: «Alto livello di tassazione, revisione della spesa, concessioni quanto basta» - nda)».

3) – Simon Tilford, del “Centre for European Reform”, ha dichiarato apertamente che: «L’Italia è enormemente vulnerabile. Ha attraversato un’intera fase di ripresa globale senza vedere alcuna crescita. L’inflazione “core” è a un livello pericolosamente basso. Il governo non ha praticamente alcuno strumento operativo per combattere la recessione. L’Italia ha bisogno di riforme profonde, ma queste sono per loro natura recessive nel breve termine. Si possono fare solo accompagnandole a forti investimenti per compensare lo shock. Ma non si vede alcun New Deal all’orizzonte. Da un punto di vista legale il Fiscal Compact concordato con l’UE obbliga l’Italia a fare l’esatto opposto: accumulare surplus primari abbastanza grandi da tagliare il 3,6 percento del rapporto debito/PIL ogni anno per vent’anni. C’è il rischio concreto che Matteo Renzi decida che l’unico modo di restare al potere sia quello di arrivare alle prossime elezioni guidando una piattaforma politica anti-euro. La gente sta diventando sempre più favorevole al rischio politico».
«Vi viene da ridere o da piangere?» ironizza, con amarezza, Pritchard commentando Tilford.
In effetti, l’ultimo sondaggio “Ipsos MORI” mostra che il 48% degli italiani voterebbe per uscire sia dall’euro sia dall’Unione Europea, se ne avesse la possibilità. E questo è un dato da tenere ben presente!

4) – L’istituto di ricerca “SVIMEZ” (nel rapporto del 27/10/2015 – la pagina non esiste più - ndr) afferma che: «L’impoverimento del Sud Italia è comparabile a quello della Grecia. La produzione industriale è diminuita del 35% dal 2008, gli investimenti del 59%». E avverte che: «La spirale discendente sta trasformando una crisi ciclica in uno stato permanente di sottosviluppo. In breve, il Sud Italia è vicino al collasso sociale, e c’è ben poco che il Primo Ministro, Matteo Renzi, possa fare realmente, a meno di recuperare la sovranità economica dell’Italia».

Dopo che l’Italia, nel corso degli ultimi quindici anni, ha perso il 30% di competitività, in termini di costo del lavoro per unità di prodotto, nei confronti della Germania e la sua produttività ha subito un crollo spaventoso scendendo del 5,9% dal 2000, «l’unica questione rilevante oggi – scrive Pritchard – è che non riesce più a uscire dalla trappola. Gli sforzi per riguadagnare competitività tramite svalutazione interna non fanno altro che peggiorare la dinamica del debito e prolungare la depressione. Il risultato, che abbiamo davanti ai nostri occhi, è l’implosione industriale».

In questa miscela intensamente infiammabile dovete poi aggiungere la crisi bancaria, che espone ulteriormente il carattere disfunzionale dell’unione monetaria e che sta peggiorando di giorno in giorno. Il prezzo delle azioni bancarie della maggiore banca italiana, “Unicredit”, nel corso degli ultimi sei mesi ha perso metà del suo valore, a dimostrare la situazione di un settore gravato da 360 miliardi di euro di crediti deteriorati (dei quali gli NPL sono circa 200 miliardi).

Per fronteggiarli, il sistema bancario ha messo da parte risorse per 120 miliardi. Devono ancora depennare 83,6 miliardi di euro di crediti in sofferenza. Non lo hanno ancora fatto per un motivo. Il loro coefficiente patrimoniale è troppo basso, da qui i timori, di una ricapitalizzazione forzata e del bail-in, secondo le nuove normative. Su ciò s’è espressa anche Bankitalia, sottolineando che: «La nuova normativa sul bail-in è diventata una fonte di grave rischio per la liquidità e d’instabilità finanziaria e dovrebbe essere riconsiderata e rivista prima di scatenare una corsa agli sportelli».

5) – Lorenzo Codogno, ex capo economista del Tesoro italiano, che ora lavora presso la “London School of Economics”, punta il dito contro la politica di sorveglianza bancaria della BCE che, secondo lui, ha peggiorato le cose: «Continuano a chiedere alle banche di mettere altro denaro. È ovvio avere molti crediti in sofferenza dopo una lunga e profonda recessione, la BCE non dovrebbe comportarsi così. Sta in effetti creando instabilità». L’Italia è ora nella peggiore delle condizioni possibili. Non può intraprendere azioni normali da Paese sovrano per stabilizzare il sistema bancario e, per questo, Codogno sottolinea che: «Saremo seriamente nei guai se ci sarà un’altra recessione».

Alla fine, ufficialmente, il governo italiano avrebbe lanciato il fondo ibrido “Atlante”, costringendo banche e assicuratori a partecipare. L’obiettivo, sempre ufficiale, sarebbe quello di riassorbire una parte del credito deteriorato (gli 83,6 miliardi ancora in sofferenza), d’impedire la svendita degli asset ai fondi avvoltoio stranieri (Padoan parlando a Washington all’Istituto di economia internazionale “Peterson” il 14 aprile – link) a un livello che spazzerebbe via il capitale e, d’impedire che Unicredit sia costretta a ricapitalizzarsi in condizioni di mercato ostile.

Un’operazione che, seguendo attentamente anche gli intrecci, va letta così: il “Gruppo Quaestio” (presieduto da Francesco Cesarini – banchiere cattolico, ex vicepresidente del Consiglio ed ex numero uno di “Intesa Sanpaolo”, “Bpm” e “Unicredit”) è formato da due società. Una lussemburghese (“Quaestio Investments S.A.” che è detenuta al 100% da “Quaestio Holding S.A.”, a sua volta detenuta come segue: “Fondazione Cariplo” 37,65%, “Locke S.r.l.” – società al 50% cadauno tra il presidente e l’AD di “Quaestio S.p.A.”, Alessandro Penati e Paolo Petrignani [un’accoppiata benedetta da uno degli ultimi “arzilli vecchietti” della finanza italiana, Giuseppe Guzzetti, presidente di “Fondazione Cariplo”], tramite i rispettivi veicoli “Marketview” e “Sopa” – 22%, “Cassa Italiana di Previdenza e Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti” 18%, “Direzione Generale Opere Don Bosco” – l’Ordine dei salesiani – 15,60%, “Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì” 6,75%), che ricopre il ruolo di Management Company per tutti e tre i fondi lussemburghesi e ne gestisce i rischi, e una italiana (“Quaestio Capital Management SGR S.p.A.” presieduta dal finanziere Alessandro Penati, già puntuto editorialista di “Repubblica” e del “Corriere della Sera”), che gestisce gli investimenti dei fondi del gruppo.

Come si evince dalla “Struttura del Gruppo” sul Sito ufficiale (link), non è il governo che ha lanciato il fondo “Atlante” e costretto qualcuno a parteciparvi. È l’esatto opposto! «La Quaestio Capital Management SGR S.p.A. (la società italiana), ha istituito e gestisce anche due fondi di diritto italiano: il fondo Atlante (“Fondo d’investimento alternativo mobiliare chiuso riservato a investitori professionali”) e lo European Equity Fund».

I capitali che potrà investire il fondo “Atlante” (per sostenere gli aumenti di capitale di alcune banche italiane e acquistare crediti deteriorati) arrivano in gran parte dalle due principali banche italiane, “Unicredit” e “Banca Intesa”, che hanno assegnato al fondo circa un miliardo di euro ciascuna, giacché hanno un disperato bisogno di salvarsi il culo. Fondazioni bancarie e altri istituti dovrebbero investire circa un miliardo e 500 milioni. Altri 500 milioni arriveranno dalla Cassa Depositi e Prestiti (una “banca che non è una banca” con una raccolta di 230 miliardi di euro solo nel 2012, producendo 2,8 miliardi di euro di utile. Una struttura formalmente privata ma di fatto controllata dal ministero dell’Economia, che detiene la maggioranza). Il resto da compagnie di assicurazione italiane.

Per cercare di aumentare la sua capacità d’investire, il fondo prenderà in prestito anche soldi dal mercato, circa 5-6 miliardi. Come ha notato l’analista finanziario Andrea Boda su “Pagina99” (link), questo potrebbe avere l’effetto di riparare un buco, creandone uno più grosso. E, non è detto che lo scopo ultimo, dopo avere vinto la partita tra avvoltoi, sia proprio questo, come pone in evidenza anche Silvia Merler su “Bruegel” (think tank di Bruxelles – link): «Atlante è pieno di rischi. Quest’iniziativa può impantanare anche le banche sane, aumentando di conseguenza il rischio sistemico». La valutazione della Merler riflette quelle di Fitch e S&P riportate su “Reuters” (link). Entrambe le società di rating sottolineano che il fondo aumenterebbe l’esposizione delle banche sane, con conseguenti prospettive negative di solvibilità.

Che, tradotto alla fin fine, significherebbe: banche accorpate con due soldi e risparmi dei clienti rapinati!

In attesa del seguito, vedete se riuscite a capire quanto sia urgente che ogni singolo italiano cominci a rimboccarsi le maniche…

Extrapedia Autori
a cura della Redazione di Extrapedia


db/che_la_rivoluzione_abbia_inizio_2_parte.txt · Ultima modifica: 19/08/2021 16:43 da @Staff R.